C’era una volta il portavoce
di Carmelo Abisso
11 maggio. Nella primavera del 1992 lo Stato Maggiore dell’Esercito (SME) decise di organizzare, per la prima volta, un corso formativo per ufficiali addetti stampa. Il corso di “tecnica della comunicazione e relazioni pubbliche”era rivolto ad ufficiali in servizio presso alti comandi militari. Tra questi Gianfranco Scalas da Cagliari, Gennaro Mercogliano da Napoli, chi scrive, allora addetto stampa dell’Accademia militare di Modena ed altri sette colleghi.
Il corso, tenuto da giornalisti professionisti e professori universitari, era articolato su importanti lezioni teoriche e prove pratiche, portando infine i frequentatori davanti alle telecamere per effettuare interventi e rilasciare dichiarazioni. Fu un grande successo. La lungimiranza del capo ufficio stampa pro tempore dello SME, colonnello Fabio Mini, trovò immediato riscontro: dopo qualche settimana iniziarono le operazioni Forza Paris e Vespri Siciliani sul territorio nazionale e l’operazione Ibis, a dicembre, in Somalia. I primi portavoce dell’Esercito cominciarono cosi ad essere impiegati in operazioni.
Vennero poi le operazioni in Mozambico, Bosnia-Herzegovina, Albania, Kosovo, Afghanistan, Iraq e Libano dove in ogni contingente nazionale era prevista la cellula pubblica informazione con il compito della gestione delle relazioni con i media e della comunicazione in operazioni. Nel 1999, alla luce dei pressanti impegni operativi fuori area – tre brigate impiegate contemporaneamente a Sarajevo in Bosnia, a Pec in Kosovo e a Durazzo in Albania, oltre alle altre missioni – iniziarono presso lo SME i corsi PIO (Public Information Officer), dedicati agli ufficiali da qualificare addetti stampa per l’impiego nei teatri operativi.
Questa importante svolta nella formazione avanzata ha consentito di creare un “vivaio” di ufficiali qualificati in ogni brigata e reggimento di previsto impiego in operazioni con due significative ricadute: rendere autonome le grandi unità nella branca pubblica informazione e mantenere ed accrescere il bagaglio di esperienza degli ufficiali impiegati come PIO.
Gli effetti di questa “rivoluzione” li abbiamo visti in questi undici anni: la professionalità, la credibilità e la trasparenza nella gestione dei rapporti con la stampa nei teatri operativi hanno sicuramente contribuito a migliorare l’immagine delle Forze armate italiane nei confronti dell’opinione pubblica. I portavoce dei contingenti militari italiani in Afghanistan, Libano e Kosovo sono diventati dei veri e propri punti di riferimento per i giornalisti, creando quel clima di fiducia reciproca indispensabile per raccontare lo straordinario impegno dei soldati italiani all’estero.
Poi l’anno scorso, all’improvviso, qualcosa è cambiato. E’ stato approvato il decreto legislativo 66/2010, “Codice dell’Ordinamento Militare”, entrato in vigore il 9 ottobre 2010. Lo scopo dichiarato era quello di semplificare l’intera materia, sopprimendo tutte le norme inutili e raggruppando in un solo corpo legislativo ben 2.272 articoli. In realtà, si è semplificato solamente l’esercizio della memoria: prima era necessario ricordare sia la legge che i singoli articoli, ora è sufficiente ricordare solo i singoli articoli della comune legge.
Per esempio, l’articolo 9 dell’abrogata legge 382/78, a mente del quale “I militari possono liberamente pubblicare loro scritti, tenere pubbliche conferenze e comunque manifestare pubblicamente il proprio pensiero, salvo che si tratti di argomenti a carattere riservato di interesse militare o di servizio per i quali deve essere ottenuta l’autorizzazione”, è stato accolto dal nuovo articolo 1472. Nel procedimento di traslazione dalla L. 382/78 al D.Lgs. 66/10 il dispositivo è stato modificato con l’aggiunta di due semplici parole che, però, restringono i diritti dei militari.
La nuova formulazione dell’art. 1472, infatti, recita testualmente: “I militari possono liberamente pubblicare loro scritti, tenere pubbliche conferenze e comunque manifestare pubblicamente il proprio pensiero, salvo che si tratti di argomenti a carattere riservato di interesse militare, di servizio o collegati al servizio per i quali deve essere ottenuta l’autorizzazione”. Le parole “o collegati al servizio” hanno creato forte malcontento tra i militari che hanno visto in tale nuova formulazione un tentativo di bavaglio davvero insopportabile.
La questione è finita in Parlamento dove il senatore Scanu (PD) ha presentato un’interrogazione nella quale ha ricordato che “il Consiglio di Stato ha successivamente specificato le condizioni di applicazione della norma, chiarendo che la trattazione di argomenti per i quali deve essere ottenuta
l’autorizzazione sono esclusivamente quelli a carattere riservato, nel senso che essa non può ricomprendere tutti i fatti o le circostanze inerenti al servizio” e quindi ha chiesto al governo di eliminare quella che è stata definita dall’interrogante “un’evidente forzatura”.
Il 17 novembre 2010 il sottosegretario alla Difesa Cossiga, rispondendo all’interrogazione del senatore Scanu, ha dichiarato che “a seguito degli ulteriori approfondimenti demandati a un apposito tavolo tecnico interno all’amministrazione della Difesa, coordinato dall’Ufficio legislativo e comprendente tutte le articolazioni del dicastero, è stato comunque previsto di proporre, nell’ambito dello schema di decreto legislativo correttivo del Codice (previsto dall’articolo 14, comma 18, della legge n. 246 del 2005), l’espunzione delle parole cui gli interroganti si riferiscono“. In altre parole, sembra proprio che le parole “o collegati al servizio” saranno tolte dal testo.
Intanto, dal 9 ottobre dell’anno scorso, l’interpretazione “restrittiva” dell’articolo 1472 da parte degli organi centrali ha prodotto una serie di isteresi burocratiche che di fatto hanno commissariato la pubblica informazione sul territorio nazionale. Senza pensare alle conseguenze nefaste di un ritorno alla “non comunicazione”, che ha isolato ingiustamente i militari dalla società per tanto tempo, ci si è incartati nella richiesta di autorizzazioni a tutti i livelli che spesso non arrivano nei tempi previsti per dar corso alle attività.
Gli influssi negativi di questa situazione si sono riversati, stranamente, anche nei teatri operativi dove i portavoce hanno sempre meno voce. E le “crisi mediatiche” dei casi Miotto, Savina Caylin, Scolari e Gabetta, citate in un articolo di Gianandrea Gaiani su Libero, non vanno certamente nella direzione di un ripristino della comunicazione.
Eppure il generale Vincenzo Camporini, ex capo di stato maggiore della Difesa, aveva chiarito in maniera inequivocabile in un intervista al Riformista qual è il percorso che seguono le informazioni: “Per eventi di carattere urgente, come può essere un incidente, le notizie arrivano in Italia tramite due catene: quella della pubblica informazione (P.I.) e quella operativa. Nel primo caso, il portavoce del contingente italiano avverte con ogni sollecitudine il capo ufficio P.I. dello Stato Maggiore della Difesa, che ne dà immediata comunicazione a me, e nel contempo, al gabinetto del ministro. Una volta confermata, la notizia viene diramata con immediatezza dall’ufficio P.I. tramite comunicato stampa ai media, in osservanza del principio di massima trasparenza”.
Sono stati formati in questi anni decine di brillanti ufficiali addetti stampa in tutte le Forze armate. Sono preparati, motivati e credibili. Vogliono solo fare bene il proprio mestiere.
Non resta che aspettare fiduciosi (basterà?) lo schema di decreto legislativo correttivo del “Codice dell’Ordinamento Militare” perché sia ridata finalmente la voce ai portavoce.
Il 27 marzo 2012 è entrato in vigore il decreto legislativo 24 febbraio 2012, n 20, correttivo del Codice dell’ordinamento militare, recato dal decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66. Costituisce il primo intervento organico correttivo del Codice dell’ordinamento militare. E’ stato predisposto ai sensi del comma 18 dell’articolo 14 della legge n. 246 del 2005 (la cd. “taglialeggi”, in base alla quale è stato effettuato il riassetto normativo che ha portato all’emanazione del Codice dell’ordinamento militare).
Il decreto legislativo correttivo, impostato su undici articoli, dei quali i primi nove novellano corrispondentemente ciascuno dei nove Libri del Codice, mentre gli ultimi due recano disposizioni in materia di coordinamento, transitorie e finali (art. 10) e di neutralità finanziaria del provvedimento (art.11), contiene 206 interventi di modifica del Codice, di cui 37 di aggiornamento a norme sopravvenute dopo il 15 marzo 2010 e 169 di correzione del riassetto di previgenti disposizioni di legge a suo tempo operato rivelatesi necessarie. In sintesi,ha eliminato errori materiali di scrittura, di rinvio o di riassetto della normativa primaria previgente.
Tra essi l’art. 1472 ” Libertà di manifestazione del pensiero” cosi corretto : all’articolo 1472, comma 1, le parole: «, di servizio o collegati al» sono sostituite dalle seguenti: «o di». Il testo torna quindi alla versione originaria che recita: “I militari possono liberamente pubblicare loro scritti, tenere pubbliche conferenze e comunque manifestare pubblicamente il proprio pensiero, salvo che si tratti di argomenti a carattere riservato di interesse militare o di servizio per i quali deve essere ottenuta l’autorizzazione”.