di Carmelo Abisso

Il Club Atlantico ha organizzato il 3 marzo presso l’Hotel Savoia Regency di Bologna – in collaborazione con l’Inner Wheel Club, il Centro Studi Storico-Militari e Geopolitici e il Lions Club Bologna Irnerio – l’incontro con la giornalista Tiziana Ferrario che ha presentato il suo ultimo libro “La principessa afghana e il giardino delle giovani ribelli” (Chiarelettere), un romanzo che racconta l’impavida resistenza delle donne afghane. Ha introdotto e moderato l’evento il generale Giorgio Battisti, presidente del Club Atlantico di Bologna.

Tiziana Ferrario, giornalista, è stata uno dei volti del TG1, inviata di politica estera e corrispondente da New York. Negli anni ha documentato guerre e crisi umanitarie in Afghanistan, Iraq, Pakistan, Iran, Arabia, Saudita, Libano, Siria, Yemen, Darfur e Uganda. Anche in questo libro emerge con forza un tema che le sta a cuore: la difesa dei diritti delle donne.

Perchè ha deciso di scrivere questo libro, ispirato a una storia vera ?

Ho scelto di scrivere questo libro, storia vera in cui mi sono concessa molte libertà, perchè ho conosciuto la principessa Homaira quando ho ripreso la mia attività di inviata. Nel 2000 c’era un paese, l’Afghanistan, dove non andava nessuno da tempo. Non interessava alla comunità internazionale, ma l’Italia aveva deciso di mandare aiuti umanitari con una missione di Gino Strada che partiva per Kabul, in pieno regime talebano. Ho incontrato la principessa alla Farnesina. Era insieme a un vecchio signore, il Re Zahir Shah, l’uomo che ha governato il paese dal 1933 al 1973, un periodo tranquillo, che tutti ricordano come il migliore. Nel 2002 il Re è tornato a Kabul accompagnato dalla nipote Homaira. Nel libro l’ho immaginata mentre incontra le donne di oggi che le raccontano la loro vita. Ho iniziato a scrivere questo libro quando dall’America è arrivato l’annuncio dell’accordo di Doha, febbraio 2020, che prevedeva il ritiro dall’Afghanistan secondo una tabella di marcia. Cosa sarà delle donne di nuovo ? Forse è arrivato il momento di scrivere qualcosa. Ma non volevo scrivere un saggio ed ho pensato di scrivere la storia di Homaira, che ha dovuto cambiare tante vite e lo ha fatto con grande coraggio. Donna molto energica, passava le ore al telefono insultando i capi tribù e i governanti. Nel libro è molto accogliente con le donne, ci sono ricette, viene fuori la cultura afghana. E’ un paese pieno di colori. Uno dei primi segnali che ho notato quando i Talebani sono tornati al potere è stato lo spegnersi di tante voci. Un milione di bambini rischiano di morire di fame. I soldi afghani negli Usa, circa 7 miliardi di dollari, sono congelati e il presidente Biden ha detto che la metà vuole darli alle vittime dell’11 settembre 2001. Questo non fa altro che aumentare le sofferenze.

Questi racconti descrivono la società dalla parte delle donne

C’è il coraggio di queste donne, che hanno dei sogni e sono pronte a sfidare grandi pericoli per realizzarli. Sono donne che escono alla mattina e sanno che possono non tornare a casa alla sera. Le professioni che fanno sono quelle che non piacciono agli integralisti, come i giudici. Sono ragazze che hanno scelto mestieri pericolosi, donne che vivono sui social, che hanno costruito la loro immagine come influencer. Poi ci sono i matrimoni combinati, ragazze vendute per pagare un debito o sanare una lite. Molte mamme stanno vendendo le loro figlie per dare da mangiare agli altri figli.

Ci descriva una delle cose che l’ha colpita di più

L’Afghanistan è un paese bellisssimo, aspro. Quando atterri a Kabul è come se entrassi nella macchina del tempo. Vive di sue tradizioni. E’ un mondo che ti entra molto dentro. Ho sempre in mente le bambine, sono bellissime. Facevano scuola sotto le tende, al freddo, erano sempre allegre e sorridenti. Questa capacità di resistere che hanno gli afghani. Penso a queste bambine, a quelle opportunità che potrebbero avere se nascessero da altre parti. Ad agosto 2021 erano tutti titoli sui giornali, oggi non se ne parla più. E’ diventata una guerra da rimuovere. Ma per i venti anni che siamo stati lì, per chi ci ha perso la vita, penso che non sia da dimenticare.

 

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