Il secondo giorno di colloqui a Baghdad fra gli iraniani e il cosiddetto “5+1” si è chiuso in un clima di profondo scetticismo. L’Aiea, l’Agenzia atomica internazionale, aveva appena siglato con l’Iran un accordo formale per l’accesso ai siti sospettati di attività nucleari segrete. Ma l’Iran non sembra intenzionato a sospendere l’arricchimento dell’uranio, anche a scopo civile, fino al venti per cento.
Così il forum di Baghdad ieri si è chiuso con un no da parte del negoziatori di Teheran. Gli iraniani avevano lanciato “una contro-proposta in cinque punti”, in cui non rinunciavano al diritto di arricchire l’uranio sul loro territorio (anzichè importarlo dalla Francia, ad esempio) e intenderebbero accettare una limitazione al tre per cento invece che al venti, soglia più vicina all’atomica. Al momento è ritenuto “incerto” un nuovo round di colloqui dopo Baghdad.
A confermare la grande paura di Israele, ovvero che gli ayatollah stiano usando la finestra dei colloqui con le potenze occidentali soltanto per continuare ad arricchire uranio, ieri è uscito un altro report dell’Agenzia atomica dell’Onu, secondo cui l’Iran ha installato altre 350 centrifughe nel sito-bunker di Fordo, presso la città santa islamica di Qom.
Il sito di Fordo, che da oggi ha raddoppiato la propria capacità di arricchimento dell’uranio, è altamente fortificato ed era stato tenuto segreto fino a poco tempo fa, quando fu scoperto grazie alle rivelazioni di alcuni oppositori del regime iraniano. Israele ha posto tra le condizioni per i colloqui l’immediata chiusura del sito di Fordo, collocato all’interno di una montagna nei pressi della città santa di Qom. Gli iraniani hanno risposto aumentando il numero delle centrifughe.
Assieme a Fordo, l’altro principale sito sensibile è Parchin. Il sito è noto dal 2005 e si tratta di una rete di tunnel segretamente costruita dal ministero della Difesa iraniano presso un complesso militare situato a trenta chilometri a sud-est di Teheran. Gli iraniani negano l’accesso al sito all’agenzia dell’Onu. Se a Fordo da gennaio gli scienziati arricchiscono l’uranio a livelli pre-militari, Parchin è il sito cruciale per il programma top secret di arricchimento al laser condotto dal regime. Le apparecchiature per l’arricchimento al laser, rivelate nei giorni scorsi dall’Associated Press con un documento probabilmente arrivato dall’Aeia, sono alloggiate in un bunker sotterraneo designato come “Progetto 1” nella sezione di chimica.
Quando l’ayatollah Khomeini accettò il cessate il fuoco che mise fine alla guerra tra Iran e Iraq nel 1988, il regime iraniano avviò la fase più ambiziosa del suo programma segreto di armamento nucleare. In quell’anno, le Guardie della rivoluzione islamica crearono un programma atomico top secret, nome in codice “il Grande Piano”. Parchin è la chiave del progetto.
“Un imperativo americano”
L’uranio “altamente arricchito”, la fase in cui si trova ora l’Iran, ha una concentrazione dell’isotopo 235U pari o superiore al venti per cento. L’uranio fissile presente nelle armi nucleari contiene invece l’85 per cento o più di 235U, ed è noto come uranio a gradazione per le armi (weapon- grade).
Ieri, alla Knesset, il Parlamento israeliano, il capo dell’intelligence militare, generale Itay Brun, ha detto che i progressi tecnici iraniani sono tali che “la diplomazia non sarà sufficiente per fermarli”. E’ il messaggio più importante rivolto da un ufficiale israeliano al meeting di Baghdad. Se Teheran decidesse di arricchire l’uranio al livello militare, ha affermato ieri Brun, avrebbe bisogno di un periodo di tempo che va da “sei a diciotto mesi”.
A novembre potrebbe già essere tardi. Con la diplomazia al lavoro, il Congresso americano intanto lavora per fortificare la difesa di Israele. Le tasse statunitensi finanziano già il venti per cento dell’intero budget militare dello stato ebraico. Adesso è in arrivo la maggiore donazione militare americana da oltre sessant’anni. Un pacchetto di armi e sistemi di difesa per un valore complessivo di quasi quattro miliardi di dollari.
Nel pacchetto in discussione al Senato si parla di ampliare l’intelligence satellitare, i rifornimenti in volo, le “munizioni speciali”, i caccia F-35, di aprire lo spazio aereo americano all’aviazione israeliana, di una maggiore presenza israeliana nella Nato e di spostare gli ausili americani per la difesa dall’Iraq a Israele. Washington amplia i finanziamenti per l’F-35, il più micidiale jet da combattimento del mondo, che “aumenterà la capacità d’Israele di difendersi da solo contro ogni minaccia o combinazioni di minacce, da chiunque provengano in medio oriente”, ha detto l’ambasciatore israeliano a Washington, Michael Oren.
680 milioni di dollari sono in arrivo soltanto per il sistema israeliano di difesa Iron Dome, la “cupola d’acciaio” che costituisce la maggiore difesa del cielo nello stato ebraico contro i missili di Hamas e Hezbollah. Il congressman democratico della California, Howard Berman, ha sponsorizzato l’Iron Dome Support Act, affermando che “la difesa dello stato ebraico non è una questione di parte, ma un imperativo americano”. Iron Dome è un progetto congiunto dell’azienda parastatale israeliana Rafael e della Raytheon Company, compagnia americana leader nel settore della difesa e primo produttore al mondo di missili teleguidati. Washington potrebbe investire in “Windbreaker” (paravento), il sistema balistico che spara una specie di pallettoni contro i razzi lanciati da Gaza contro un carro armato, e in “David’s Sling” (Fionda di Davide), usata contro gli Scud Cs dalla Siria, gli Shiahab 3 dall’Iran e gli Zelzals dal Libano.
Nel grande pacchetto di finanziamenti americani a Israele c’è anche il “Super Arrow”, definito dall’intelligence israeliano come “il più avanzato missile antibalistico al mondo”. Detto anche “Mr. Interception”, l’Arrow è pagato quasi interamente dagli Stati Uniti ed è la principale risposta ai missili iraniani a lunga gittata (la sua prima versione venne finanziata da Ronald Reagan). Il costo stimato è di due miliardi e mezzo di dollari, di cui due terzi statunitensi. Teoricamente, due batterie di Arrow 3 dovrebbero bastare a proteggere l’intero territorio israeliano.
Prosegue, da parte degli Stati Uniti, anche la messa a punto degli Harpoon, i missili che Israele ha installato a bordo dei suoi quattro sottomarini di fabbricazione tedesca: “Dolphin” (delfino), “Leviathan” (balena), “Takum” (resurrezione) e “Tallin” (coccodrillo). Missili che montano testate nucleari. La consegna dei primi tre sottomarini, avvenuta nella seconda metà degli anni Novanta, fu un gesto di riparazione della Germania verso Israele per aver assistito l’industria bellica del dittatore iracheno Saddam Hussein. I sottomarini tedeschi hanno preso il posto di quelli inglesi che avevano fatto la Guerra dei sei giorni attaccando il porto di Alessandria d’Egitto.
Adesso i target sono i siti disseminati nel territorio iraniano: Bushehr, Natanz, Parchin, Fordo. A Israele manca adesso “soltanto” il “Mop”, massive ordnance penetrator, le bombe americane di tredici tonnellate costruite specificamente per mettere fuori uso i siti iraniani sepolti nel sottosuolo. Washington finora si è rifiutata di vendere queste bombe a Gerusalemme e sono oggetto di una costante trattativa.
Sono anche la ragione principale per cui l’orologio israeliano corre più velocemente di quello americano. Come ha detto il ministro della Difesa, Ehud Barak, “senza queste bombe Israele deve attaccare con sei mesi di anticipo”.
Giulio Meotti, 25 maggio 2012
Fonte: Il Foglio