I “miluim”, i riservisti d’Israele, a giorni potrebbero ricevere la “Chiamata 8”, il nome in codice della cartolina militare marrone che nessuno può ridare al postino. Sono le braccia strappate quaranta giorni l’anno alla vita normale, perché s’infilino la tracolla degli M 16 e servano nell’esercito.

In vista di un possibile conflitto con l’Iran avviato sulla via del nucleare, i riservisti dello Home Front Command hanno ricevuto già la lettera (firmata dal colonnello Sagi Tirosh) che li invita a ritirare le maschere antigas dai depositi.

Durante un briefing del generale Agay Yehezkel è stato delineato uno scenario in cui la mobilitazione avviene sotto una reazione concentrica, con centinaia e centinaia di missili in arrivo dalla Siria, dal Libano e da Gaza. “Le guerre nel passato non hanno raggiunto il fronte interno, la prossima vedrà la riserva mobilitata nelle città”, ha detto il generale.

Amir Oren di Haaretz ha scritto che in caso di guerra con l’Iran i riservisti saranno la prima linea. Così, mentre la brigata paracadutisti conduceva la più massiccia esercitazione degli ultimi quindici anni nel deserto del Negev (oltre mille uomini lanciati simulando un attacco che, secondo gli esperti, ricorda molto quello effettuato sul Canale di Suez durante la Guerra dei Sei Giorni nel 1967), Israele metteva in allerta il suo grande bacino militare.

La riserva è la vera arma segreta dell’esercito israeliano, circa 500 mila persone, uomini e donne che si aggiungono ai 200 mila soldati di leva. Sono sempre stati decisivi nelle guerre d’Israele, come quando nel 1973 ci fu il famoso attacco concentrico del Kippur, e solo quando le riserve riuscirono a essere mobilitate il paese reagì allo choc.

Il colonnello Tirosh ha appena chiesto alle riserve di munirsi di maschere antigas. “C’è ne è soltanto un numero limitato, se non le prendete ora, rimarrete senza”, recita una lettera. Vi sono anche quei riservisti che pur avendo superato la soglia dei quarantacinque anni ed essendo quindi esenti dal servizio hanno chiesto di poter tornare sul campo.

Giulio Meotti, 3 marzo 2012

Fonte: Il Foglio

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