“La vera, straordinaria rivoluzione nel nuovo modello di Difesa dovrebbe essere il cambiamento dell’avanzamento di carriera fra i militari, abbandonando il modello ‘normalizzato’ che prevede la promozione automatica dopo un certo numero di anni passati in un grado”. Germano Dottori, docente all’interno della cattedra di Studi strategici alla Luiss Guido Carli e membro della Societa’ italiana di storia militare (Sism), ha commentato con il Velino il futuro modello di Difesa, presentato oggi in Cdm dal ministro Giampaolo Di Paola. Un modello che, secondo quanto emerso finora, prevede una ristrutturazione corposa: meno uomini (dai 190 mila stabilito dalla legge 331/2000 a circa 150 mila) e piu’ armi. L’obiettivo – entro il 2032 – e’ quello di avere uno strumento piu’ “giovane” ed equilibrato nel rapporto fra i diversi ruoli: 18 mila ufficiali, 25 mila marescialli, 22 mila sergenti, 56 mila militari di truppa in servizio permanente e 24 mila in ferma breve. “Con l’attuale modello di carriera – ha attaccato Dottori – continueremo ad avere grossi ingolfamenti nei gradi medi e medio-alti”.

Per l’esponente della Sism, questo e’ un nodo fondamentale per le ripercussioni future: “Se si accetta il modello di difesa anglosassone con forze armate su base volontaria – ha osservato -, bisogna accettarne tutte le conseguenze”. A partire dal fatto che la carriera nel mondo militare “non prevede una vita comoda, stare seduti dietro una scrivania”. E, soprattutto – come succede in America o in Inghilterra -, i giovani che entrano nelle Forze armate rimangono, de facto, sempre ‘precari’. Sono sottoposti a severi standard di valutazione (anche psico-fisici) ogni anno, e il non superarli significa essere congedati d’autorita’. Per molti di loro, quindi, il mondo militare e’ il primo gradino di una carriera lavorativa da spendere anche in altri settori o un modo per accumulare soldi ed expertise prima di lanciarsi in una propria attivita’. In molti casi, negli Stati Uniti, sono previste agevolazioni e borse di studio per gli ex soldati. Insomma, il continuo ricambio di personale permette di avere uno strumento militare mediamente piu’ flessibile e piu’ giovane.

C’e’ un corollario “meritocratico” a queste asperita’ e alla spada di Damocle del congedo d’autorita’: “Nel sistema americano – ha ricordato Dottori – puo’ diventare generale a quattro stelle sia il cadetto di Accademia sia il volontario che si arruola a 18 anni in fanteria”. In Italia, in pratica, e’ impossibile. Un ufficiale proveniente dall’Accademia avra’ sempre un certo vantaggio sul parigrado proveniente dai cosiddetti “ruoli speciali”. Si tratta di ufficiali selezionati attraverso concorsi interni aperti ai marescialli oppure attraverso bandi di arruolamento per specifiche posizioni a concorso (e’ richiesto personale gia’ laureato, generalmente figure “specialistiche”, da quando non ci sono piu’ gli ufficiali di complemento dei tempi della leva). Un sistema simile, ha sottolineato il docente, permetterebbe di “reclutare giovani piu’ ambiziosi, aumentando anche la remunerazione e il prestigio”. Allo stesso tempo, si manderebbero via “i meno motivati e chi vuole una vita comoda”.

Secondo il socio della Sism, poi, quando si discute del modello di Difesa, “il rischio e’ che tutto il dibattito possa finire sulla storia dell’aereo F35”, che e’ “parte del problema, ma non e’ il problema”. Il docente della Luiss ha toccato anche un altro punto della riforma, cosi’ come emerso dal Consiglio supremo di Difesa dell’8 febbraio, cioe’ la “progressiva integrazione multinazionale delle Forze Armate nell’ambito europeo della Politica di sicurezza e difesa comune (Psdc)”. “E’ – ha spiegato Dottori – un’assurdita’. Non e’ mai stata fatta negli anni ’50, con le truppe del Patto di Varsavia schierate ai confini della cortina di ferro, figuriamoci adesso in una fase di nazionalismi. E’ completamente irrealistico pensare che un contribuente italiano possa dare il suo appoggio nella difesa delle Falkland, come anche per operazioni francesi in Africa”. Quindi la provocazione: “L’integrazione italiana nelle forze armate europee dovrebbe comportare anche un’altra conseguenza, cioe’ si dovrebbe ‘europeizzare’ il deterrente nucleare inglese e francese. Siamo sicuri – ha concluso – che lo vorranno fare, dal momento che entrambi sono ‘gelosi’ di questa loro ‘esclusiva’?”

Fonte: ilvelino.it, 14 febbraio 2012

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