Radio Bayan, ovvero oltre la guerra in modulazione di frequenza, sugli 88,5 FM. E’ una “arma” in piu’ per la coalizione dell’Isaf e diversa per contribuire a creare un clima di pacificazione e sviluppo in Afghanistan. E’ la radio creata dalla stessa Isaf, ha base principale a Kabul e redazioni sparse nelle principali citta’ afghane, ovvero laddove ci sono i comandi regionali. Nel versante ovest, affidato al comando italiano (8000 militari, di cui 4200 italiani) e diretto in questo periodo dal generale Luciano Portolano, comandante della Brigata ‘Sassari’, Radio Bayan e’ a Herat, a Camp Arena.
Trasmette dalle 7 alle 10 e dalle 16 alle 19, secondo una programmazione che in fatto di schema orario ricalca in qualche maniera la Tgr della Rai. Infatti da Kabul – che trasmette invece 24 ore su 24 – la linea viene lasciata in quelle due ‘finestre’ alle sedi dei comandi regionali, e nella stessa area della capitale in quelle ore di ‘finestre’ vanno in onda programmi in qualche maniera di rilevanza “locale”. Come appunto fa la Tgr Rai che prende temporaneamente la linea dalla testata della rete 3 della Rai.
A Camp Arena il team di Radio Bayan e’ fatto di un piccolo nucleo diretto dal capitano Angelo Arcangeli: 5 giornalisti (tra cui il maggiore Pierpaolo De Salvo, della riserva selezionata dell’Esercito), un paio di tecnici, un deputy chief radio e qualcun altro. Il palinsesto e’ fatto per il 60 per cento di musica, per il 30 di contenuti diversi e per il 10 per cento di news. Queste trattano di salute, di agricoltura, di figure importanti della realta’ afghana e territoriale, c’e’ lo sport e anche il meteo, sempre piu’ seguito, e poi la questione femminile. “Nessuna notizia viene nascosta o ‘mascherata’ – precisa il maggiore De Salvo – se c’e’ un attentato o un attacco, come quello di ieri a Bala Murghab, la notizia viene data”.
La parte tecnica per il funzionamento dell’emittente viene fornita dall’Esercito italiano e il progetto afghano si muove nel solco di quello avviato qualche anno fa in Kosovo e in Somalia, quando i contingenti italiani in azione in quelle realta’ pensarono anche alla radio come strumento per “dialogare” con la popolazione e coinvolgerla in un passaggio dal conflitto armato alla ricerca della pacificazione. L’attivita’ e’ prettamente giornalistica e il palinsesto prevede la trasmissione sia in lingua dari che in pashtun. La musica e’ una parte molto seguita, specie dai giovani afghani: musica persiana, indiana, mentre quella occidentale e’ tagliata fuori. Molto seguita e’ la parte di programmi che rimandano ai temi della salute o alle tematiche giovanili.
“Pensiamo – spiegano Arcangeli e De Salvo – che la radio sia uno strumento molto interessante nel progetto che mira alla stabilizzazione del Paese e al suo sviluppo. Anche perche’ non dobbiamo pensare che l’Afghanistan sia a digiuno di tecnologia, tutt’altro. La realta’ dei villaggi piu’ lontani non e’ quella dominante, ci sono citta’ dove internet e la tecnologia sono avanzate”. a la radio e’ una parte di un progetto piu’ ampio di dialogo con la popolazione, dialogo che vede protagonista la struttura PsyOps, diretta dal tenente colonnello Giuseppe Manglaviti, del 28^ Reggimento ‘Pavia’ che dal 2005 opera ininterrottamente in Afghanistan in questo ambito.
A fare da guida sono lo stesso capitano Arcangeli e il capitano Valeria Serra, i quali spiegano che il lavoro consiste in primo luogo “nell’incrementare la percezione positiva del governo afghano presso la popolazione”. La struttura interviene in supporto a popolazione, forze di sicurezza, in programmi di reintegrazione degli ‘insurgent’. La strategia di comunicazione passa per la divulgazione di “messaggi strutturati in modo che la popolazione possa agevolmente individuarli attraverso simboli ed immagini ben riconoscibili”. Si tiene conto – nella messa a punto dei messaggi – degli aspetti culturali, “bisogna calarsi nella cultura afghana e nella costituzione dei messaggi si tiene conto di questo”, spiega il capitano Serra.
Vengono realizzati video che poi sono trasmessi dalle tv locali, con immagini che rappresentano momenti di lavoro. Dietro questo c’e’ un team di lavoro specializzato (fatto di grafici, analisti che studiano l’aspetto culturale). I video sono prodotti in lingua inglese e poi “passati” in lingua locale. Tra i video c’e’ ad esempio quello per la promozione del 119, il numero di emergenza afghano. “Certo, ci sono limiti operativi per le difficolta’ di movimento all’interno del territorio afghano – aggiunge il capitano Serra – pero’ si cerca di fronteggiarli”.
Il progetto PsyOps passa per la realizzazione quindi di prodotti stampa (i volantini lanciati dagli elicotteri), prodotti radiofonici (Radio Bayan e’ un esempio evidente) ed altre strade che consentano di raggiungere popolazioni diverse all’interno di un territorio molto vasto e differenziato. Cosi’ occorre tener conto che se nelle grandi realta’ urbane la tecnologia e’ simile a quella nostra, nelle zone piu’ periferiche i mezzi di comunicazione sono minori e si sfruttano quindi quelli che la popolazione locale recepisce (per l’appunto la radio o il dialogo ‘face to face’).
Ci sono informazioni comunicate a livello centrale, poi ogni comando regionale ha le sue peculiarita’. Adesso si sta lavorando sulla sicurezza e sulla consapevolezza di appartenere a uno Stato sovrano con le sue regole, consapevoli anche che avere una forza di sicurezza ed un esercito locali non sara’ possibile senza appunto il senso di appartenenza allo Stato. Stanno cambiando le condizioni storiche, la popolazione afghana comincia a rendersi conto di appartenere a una repubblica, e le forze della coalizione – spiegano al PsyOps – non sono piu’ sentite come una imposizione, “c’e’ richiesta di interventi delle forze di sicurezza locali”, come l’Ana (esercito) o l’Anfs (polizia).
“La coalizione ha formato gli insegnanti – viene aggiunto -, ora c’e’ il tutoraggio. Sono gli istruttori afghani a insegnare. Il finanziamento e’ autonomo, afghano, salvo interventi in caso di necessita’ dichiarata”. I messaggi alla popolazione sono disseminati a seconda del territorio. C’e’, come detto, il ‘face to face’, confrontandosi con la gente; c’e’ l’impiego del loudspeakers, ovvero si va sul terreno e vengono trasmessi messaggi audio con tematiche che riguardano le forze di sicurezza, il governo, o se nei villaggi c’e’ da promuovere l’impiego del medico. A riferire delle esigenze sono i team che operano sul territorio.
C’e’ poi la parte che riguarda le donne: “Ci si arriva con una certa difficolta’ – dicono il capitano Arcangeli e il capitano Serra -, e ora si sta addestrando personale femminile dell’esercito locale che possa approcciare la donna del posto”. Altro sistema e’ il ‘leaflet airdrop’, cioe’ il lancio, il ‘bombardamento’ di volantini, un metodo che ha il vantaggio di raggiungere le aree piu’ impervie. Caratteristica di questi volantini e’ che vi dominano le immagini: l’analfabetismo e’ ancora diffuso in aree molto periferiche e allora l’immagine – no alle armi, no alla droga, no ai ribelli – parla piu’ dello scritto. Ogni metodo viene pre-testato e si agisce in base alla risposta del campione. Se il campione testato mostra di aver acquisito il messaggio, allora la campagna parte. E un altro pezzo di Afghanistan viene restituito alla legalita’ e alla convivenza civile.
Enzo Castellano, 30 dicembre 2011
Fonte: AGI