di Giordano Stabile
Le immagini del gigantesco aereo da trasporto Antonov A-124 che apriva il portellone della stiva e faceva scendere i primi missili russi S-400 sono state trasmesse da tutte le tv turche. Alla base di Murted, vicino ad Ankara, l’alleanza fra la Russia e la Turchia ha fatto un altro passo avanti, un balzo che avrà serie conseguenze per il futuro. La vendita del sistema antiaereo più avanzato a disposizione di Mosca si è alla fine concretizzata. Dopo due anni di trattative, mezzi passi indietro, e soprattutto una tremenda pressione da parte degli americani, ferocemente contrari all’accordo, Recep Tayyip Erdogan e Vladimir Putin hanno messo il sigillo al contratto da 2,5 miliardi di dollari. Al summit di Osaka, in un bilaterale tutto sorrisi, il presidente turco aveva dato la conferma: entro metà luglio sarebbero arrivati i primi missili. E così è stato.
L’affare è importante dal punto di vista economico e permette alla Turchia, sottolineano ad Ankara, di risparmiare oltre un miliardo rispetto all’acquisto dei Patriot, l’equivalente americano degli S-400. Ma è l’aspetto strategico ad avere una portata più ampia. Il sistema russo è destinato a formare l’ossatura delle difese antiaeree della Turchia, ed è incompatibile, non integrabile con i sistemi Nato. In passato un altro Paese dell’Alleanza, la Grecia, si è dotato di un sistema russo, l’S-300, ma soltanto per la necessità di disinnescare una crisi dovuta al loro acquisto da parte di Cipro. La decisione di Ankara di mettersi sotto l’ombrello russo è politica. Washington ha cercato di dissuaderla in tutti i modi. Prima con l’offerta di alternative, giudicate insufficienti e costose. Poi con le minacce, le sanzioni. La Turchia ha le seconde forze armate fra i 29 Paesi della Nato. Confina con la Siria, l’Iraq, l’Iran, è il «pilastro sudorientale» dell’Alleanza. Gli Usa non possono «perdere» la Turchia. Se ne sono resi conto forse in ritardo. Dopo oltre un anno di assenza hanno nominato un nuovo ambasciatore, un diplomatico di altissimo rango, David Satterfield, con il compito di frenare la deriva. Non sarà facile.
Il portavoce del dipartimento di Stato ha avvertito che la Turchia «dovrà affrontare conseguenze negative molto concrete», compresa «la partecipazione al programma F-35». Per il segretario alla Difesa Mark Esper a questo punto Ankara «non riceverà» i cacciabombardieri invisibili. Sono aerei ipertecnologici che andranno a costituire il grosso delle forze aeree della Nato. Ankara ne ha prenotati 100 e si è ritagliata una fetta di commesse per le sue aziende militari, che dovranno produrre 937 delle migliaia di componenti. A Osaka Erdogan ha incontrato anche Donald Trump, per cercare di scongiurare rappresaglie. Ma il Congresso americano spinge per sanzioni dure e ieri il Senato ha chiesto con una mozione bipartisan di insaprirle. I piloti turchi sono già stati tagliati fuori dall’addestramento per gli F-35. Le consegne sono state bloccate.
Il Pentagono teme che i caccia turchi vengano usati come «cavie» dai russi, per testare e migliorare gli S-400. Il reiss non demorde e rilancia. Ha annunciato che potrebbe comprare i caccia invisibili russi, i Su-57, al posto di quelli statunitensi. E ha proposto a Putin di sviluppare assieme il successore degli S-400, l’S-500, «capace di colpire anche nello spazio». Un luna di miele che ha soprattutto un colpevole: il fallito golpe del 15 luglio 2016. L’entourage di Erdogan considera l’America per lo meno negligente, perché la Cia non li avvertì delle mosse dei golpisti. Non a caso la prima batteria di S-400 verrà schierata a difesa dei palazzi governativi, un’assicurazione in caso di un nuovo ammutinamento.
Fonte: La Stampa