Tablet, app e “curatori di contenuti” favoriscono l’esplosione dei giornali su misura. Mentre i media tradizionali si affidano a start-up per personalizzare la lettura
Non è un giornalista, ma Mattia Dell’Era, 34 anni, piemontese, ha un suo quotidiano, «Think digital non profit», che aggrega automaticamente contenuti pre-esistenti attraverso il sito Paper.li. Chi lo legge? Venti persone. Serve più che altro a lui. «Tra le miriadi di post, tweet e Rss che ci sono sul non-profit, il settore in cui lavoro, faccio fatica a seguire tutto. Così invece scopro nuove persone e articoli sull’argomento che mi sta a cuore. Ai giornali tradizionali quello che manca è questo: la possibilità per la gente di creare la propria testata ».
Oggi chiunque può produrre e diffondere informazioni. E anche la fruizione delle notizie è personalizzata. I social network funzionano da agenzie di stampa: riceviamo i link agli articoli insieme ai «messaggi sociali» dei nostri amici. Così navighiamo nella sovrabbondanza di notizie, ma questa personalizzazione porta con sé dei rischi. «È cambiata la richiesta di informazioni. Ognuno vuole seguire una specifica tematica di suo interesse attraverso un curatore di fiducia», dice Giuseppe Mauriello, 37 anni, napoletano. Un po’ come il curatore di un museo, colleziona articoli su un tema (proprio la content curation, nel suo caso): sceglie imigliori in Rete, estrae o scrive un sunto, aggiunge una foto, un link all’originale e infine li condivide, un lavoro che considera diverso da quello degli aggregatori. Mauriello nella vita fa il consulente di social media e web marketing per piccole imprese, ma su Scoop.it, con 1.200 seguaci, è diventato il più popolare curatore di contenuti.
Qualche settimana fa il settimanale inglese «Economist» scriveva: «Un giornale su misura, che si aggiorna continuamente, era roba da science fiction, ora grazie all’iPad e ai tablet, ce ne sono diversi». Con app come Flipboard e Zite si possono creare riviste digitali personalizzate. «Gli editori producono notizie per le masse—dice Arthur Van Hoff di Flipboard —, noi lavoriamo alla selezione delle notizie prodotte dagli editori o dai tuoi amici». Su questo business si sono lanciati Yahoo, Aol, Google. Potrebbe avere successo—nota l’Economist—almeno finché ci saranno gli editori ad alimentarlo: i contenuti originali qualcuno deve crearli, e la sfida è trasformare i lettori del giornale personalizzato in fatturato.
Non è l’unico problema posto dalla personalizzazione dell’informazione. Eli Pariser, autore di The Filter Bubble e presidente di MoveOn.org, si è inquietato notando che Facebook non gli mostrava più gli aggiornamenti sugli «amici» conservatori, perché lui non li cliccava quasi mai. «La mentalità del se-ti-piace-questo-ti-piacerà-anche-quest’altro — osserva — sta invadendo il web. Non riguarda solo Amazon e Netflix che vendono prodotti, ma anche siti che gestiscono le notizie come Google Search (dove sempre più spesso gli utenti ricevono risultati diversi a seconda di chi sono) e Yahoo News. Anche il “New York Times” e il “Washington Post” stanno investendo in start-up che hanno un approccio personalizzato al quotidiano». Se Cass Sunstein (Republic. com) temeva che avremmo usato la tecnologia per isolarci in «bozzoli mediatici », dieci anni dopo Pariser pensa che gli algoritmi ci rinchiuderanno, volenti o nolenti, in «bolle personalizzate», lasciando filtrare ciò che ci piace, ma non ciò che abbiamo bisogno di vedere (notizie spiacevoli ma importanti, altri punti di vista…).
Grazie alla personalizzazione delle notizie ci sono oggi nuovi modi per raccontare le storie. Molti giornali collaborano con Storyful e Storify (due compagnie fondate da ex giornalisti) per raccontare i movimenti sociali, gli uragani, le breaking news attraverso i social media. Ma non significa perdere di vista aspetti tradizionali come la prima pagina, ad esempio: che senso ha infatti vedere ciò che ti interessa se non sai in rapporto sta con tutto il resto? Per Steve Rubel, vicepresidente di Edelman, «l’era della democratizzazione è tramontata, siamo all’alba dell’era della validazione». In altri termini, magari riceviamo le notizie in tempo reale sui social network, ma prima di fidarci consultiamo gli esperti.
Viviana Mazza, 4 dicembre 2011
Fonte: La Lettura