Dai religiosi “no” alle guerre. L’impegno nelle aree di crisi. Il funzionario racconta uomini e donne di pace. “Ma oggi il patriarca russo Kirill soffia sul fuoco”
Lo zolfo della guerra e l’incenso della pace, oggi più che mai con le religioni, la fede, il fanatismo e il radicalismo di mezzo. Ce ne parla Andrea Angeli nel più recente dei suoi libri prodotti da trent’anni d’impegno totale nei teatri di guerra, così si chiamano, dove si rappresentano le peggiori tragedie dell’umanità. E dove c’è sempre qualcuno – sacerdoti, suore, vescovi, cappellani, missionari, mullah, rabbini, oltre alle schiere di soldati e di ufficiali – che si spende per cercare di arginare il peggio: uomini e donne di pace per definizione, ma che a volte non lo sono. “Fede, ultima speranza” – Storie di religiosi in aree di conflitto con prefazione del cardinale Camillo Ruini, editore Rubbettino, è in uscita il 31 gennaio. E’ dedicato a quattro “compagni di strada” che oggi non ci sono più: Giandomenico Picco, Andrea Purgatori, Franco di Mare e il generale dei carabinieri Leonardo Leso.
Angeli, cittadino di un mondo in crisi, è stato e resta un “peacekeeper”. Un uomo di pace disposto, se necessario, ad affrontare le bombe, al contrario dei pacifisti da salotto tv. Funzionario internazionale, formato alla scuola Onu, ha operato anche per la Nato, l’Osce (Organizzazione europea per la sicurezza), l’Unione Europea, dal Cile all’Iraq, dalla Bosnia all’Afghanistan, da Timor Est al Kosovo.
Saldo punto di riferimento degli inviati nelle zone di guerra, onnipresente come…un Angelo custode ed efficiente come un mister Wolf che risolve problemi, per lui non c’erano amici e nemici, la ragione e il torto, c’erano solo “le parti”. Ed era pronto a chiedere impegno, amicizia e supporto a chi, come lui, si trovava a fronteggiare le tempeste a rischio della pelle: i religiosi, appunto. Cattolici, ortodossi, sciiti, sunniti, ebrei, per lui pari erano. “Cattolico della domenica come tanti, di amici religiosi ne ho sempre avuti molti…mi sono sempre sentito vicino alla terra della mia giovinezza, una provincia (Macerata, ndr) legata e fedele allo Stato pontificio”, scrive nella sua prefazione.
Scorrono veloci e intriganti gli ambienti, i personaggi e le storie vissute anche tra attentati e sparatorie: il fascino del monastero di Decani in Kosovo, le suore canossiane portafortuna a Timor Est, l’assedio della Natività a Betlemme, la benedizione di Loreto in viaggio verso la Bosnia in fiamme, la spiritualità della tomba del Patriarca Abramo, la strage di Nassiriya, i cristiani d’Iraq, la storia svelata di una sbronza in un paese musulmano e a casa di un prete…Oggi il ruolo dei religiosi nei teatri di guerra resta importantissimo, nel bene e purtroppo anche nel male. Parliamone con l’autore.
Angeli, anche il patriarca Kirill, molto in fondo, è un prete. Secondo lei è più prete o più putiniano? Perché incoraggia la Russia alla guerra santa contro l’Occidente? A combattere gli ucraini per guadagnare il paradiso?
Va da sè che il capo della chiesa russo ortodossa Kirill dallo stesso titolo che porta – patriarca di Mosca e tutte le Russie – non possa che vedere di buon occhio la longa manus russa allungarsi oltre il confine occidentale. D’altronde occorre ricordare che prima del 2021 tre quarti degli ucraini facevano riferimento alle comunità religiose ortodosse fedeli a Mosca. Teoricamente aveva l’autorità morale per tentare di fermare il massacro, viceversa ha dato l’impressione da subito di soffiare sul fuoco, e se ne assumerà la responsabilità.
Crede davvero che i continui appelli dei religiosi alla pace possano essere efficaci senza spiegare come raggiungerla, senza un piano preciso?
Le chiese, a vari livelli, promuovono sempre la pace, anche nelle situazioni più disperate ed anche quando sanno di non essere ascoltate. Guai se non lo facessero. Sarebbe una contraddizione col titolo del libro; infatti non è così. Le chiese non sono interessate all’audience ma a portare avanti i principi in cui credono, a qualsiasi costo
Come definisce la posizione di Papa Francesco riguardo alle guerre che si combattono oggi?
Le divisioni tra cattolici e ortodossi sono tuttora tali da rendere assai difficile una mediazione vaticana tra Russia e Ucraina, infatti l’azione dell’inviato papale cardinal Zuppi si è concentrata su aspetti umanitari come lo scambio di prigionieri e accesso dei convogli, che non è poco. Tuttavia il pontefice ha preso una posizione coraggiosa contro la proposta di Kyev di mettere al bando le chiese ortodosse in Ucraina facenti capo al patriarcato moscovita. Nette le parole di Francesco: “Ognuno è libero di pregare dove crede”. In Terra Santa la situazione per i cattolici è delicatissima trovandosi proprio nel mezzo delle dispute in corso, ciò tuttavia non ha impedito al Papa di far sentire la sua voce.
L’Onu una volta – sono parole sue – faceva la differenza: perché?
Mi riferisco al decennio ’81-91 quando sotto la guida di Javier Perez de Cuellar si sono affrontati con grande impegno, e non solo, i dossier più scottanti come ad esempio il ritiro dei sovietici dall’Afghanistan e la guerra senza fine tra Iran e Iraq.
Con l’impegno e cos’altro?
Sicuramente una buona dose di sangue freddo. Inserirsi nella mediazione delle crisi citate comportava rischi non indifferenti, per l’incolumità personale di chi operava sul terreno e politico-diplomatici per chi guidava le operazioni. Per non parlare della trattativa sugli ostaggi occidentali prigionieri da vari anni dei miliziani in Libano, l’ultima grande operazione Onu assai audace di quel periodo. Se fosse andata male, il negoziatore Giandomenico Picco sarebbe stato eliminato fisicamente e de Cuellar avrebbe pagato caro l’aver dato il via a una operazione supersegreta per molti versi estranea ai canoni della diplomazia multilaterale. Alla fine gli undici ostaggi ancora in vita (alcuni dopo sei anni) rividero la luce, l’italiano Picco ricevette la massima onorificenza nazionale da Usa, Regno Unito e Germania.
E adesso perché questa involuzione?
Cosa vuole che le dica, il coraggio non è materia d’insegnamento.
Fonte: Corriere dell’Umbria