di Carmelo Abisso

“Cari amici radunisti, siamo qui oggi presenti – e molto interessati alla visita odierna – perché sospinti da sentimenti profondi. Il desiderio di rivederci dopo 49 anni dall’ingresso in Accademia è uno di questi sentimenti, ma c’è dell’altro. Oggi non siamo numerosi, ma ci siamo, e questo è già un fatto emblematico. Siamo qui per il sentimento di appartenenza all’istituzione militare, a cui abbiamo dato e da cui abbiamo ricevuto. E così le famiglie che ci accompagnano, compartecipi di tale vicenda umana, fatta di doveri, ma anche di gratificazioni. E se qualcuno non ha proseguito l’intero percorso, nondimeno la sua vicinanza mostra e dimostra la condivisione di sentimenti profondi di attaccamento all’istituzione militare”.

Così il capo corso Antonio Venci ha iniziato il suo intervento in occasione dell’incontro collettivo di corso presso il Comando per la Formazione e Scuola di Applicazione dell’Esercito di Torino, dove 33 radunisti accompagnati da 28 familiari si sono ritrovati l’11 ottobre scorso, a premessa del cinquantennale del 157° corso dell’Accademia militare che avrà luogo a Modena nell’autunno del 2025.

“Se gran parte della nostra vita è trascorsa alle armi – ha proseguito Venci – ciò è stato perché eravamo convinti della scelta iniziale. Una scelta che rimanda molti di noi a questo istituto e alle sue mura, che esercitano su di noi ancor oggi il fascino ancestrale delle origini. Peraltro un luogo pregno di storia patria. Penso a Carlo Emanuele II Duca di Savoia, cui si fa risalire l’origine dell’Esercito Italiano nel lontano 1659, che qui volle edificare l’arsenale delle armi che in seguito avrebbero forgiato la storia d’Italia. La nostra fu una scelta di servizio allo Stato e nella condizione militare; la quale è una condizione molto peculiare. Ci anima tuttora il sentimento dello spirito di corpo. Esso ci riunisce e rende qui presenti tra noi anche coloro che sono “andati avanti”. Il nostro pensiero ne materializza le forme, così come essi erano nel tempo degli studi, dell’addestramento e anche della spensieratezza e della goliardia. A loro andrà sempre il nostro ricordo. Sono certo che, ancor oggi, noi radunisti, la scelta della vita militare l’assumeremmo nuovamente. Come allora siamo rappresentanti di una minoranza, portatrice di convincimenti e sentimenti originali rispetto al più diffuso sentire e modi di essere della società. La nostra vita militare si è svolta in tempo di pace. Ma l’Esercito e l’Arma dei Carabinieri ci hanno anche condotto in luoghi esotici, i Paesi falliti, dove abbiamo svolto operazioni di stabilizzazione e ricostruzione. Taluni hanno anche operato in realtà ad elevato rischio. E sempre il mio pensiero più deferente va ai militari caduti o rimasti feriti in quelle terre. Come anche a quelli tuttora in missione. In particolare il contingente Unifil, ora in zona di combattimento, ancorché tutelato dalle insegne di neutralità. La nostra esperienza di vita militare ha fortificato il senso dello Stato che già ci caratterizzava. Perché il prestare la propria opera di servizio anche là dove l’amministrazione pubblica cessa di esistere, o è degradata, come appunto accade nei teatri operativi, mostra in tutta evidenza quanto lo Stato, con la sua amministrazione, sia una condizione imprescindibile per la coesistenza pacifica tra individui, per un livello di benessere minimo accettabile, e per l’aspirazione legittima alla prosperità. E i nostri colleghi di corso carabinieri non hanno sempre operato affinché anche qui da noi lo Stato, con le sue leggi, garantisse a tutti la giustizia, l’ordine e la pace sociale? Quello che abbiamo fatto in Patria e all’Estero non può che renderci fieri e grati alle istituzioni in cui abbiamo servito; nella consapevolezza di aver operato secondo dovere e per scopi essenziali.  Questi sentimenti ci animano ancor oggi e li testimoniamo. Così facendo, nella nostra carriera abbiamo imparato ad amare la Patria, che è lo Stato ancestrale; quello che i nostri genitori e i nostri antenati hanno edificato per noi, talvolta mediante il sacrificio estremo. Non importa che nella società odierna tale sentire possa essere minoritario. Nondimeno importante è saperlo testimoniare e noi lo facciamo, anche oggi riunendoci presso questa prestigiosa istituzione militare. Dunque, rendendomi interprete dei vostri sentimenti – ha concluso il capo corso – ringrazio il nostro Paolo Ruggiero per aver dato vita a questo evento, da una sua bella idea, quella di riunire qui il 157° Corso, nonché di aver organizzato l’incontro con cura e attenzione; ringrazio altresì il generale Vespaziani e il suo staff per l’accoglienza, ovvero per l’opportunità a noi conferita di ritrovarci riuniti in uno dei luoghi in cui, per molti di noi, tutto ebbe inizio. Auguro quindi a tutti buon quarantanovennale, nella bella città di Torino, incontro questo che è previsione e anticipazione del cinquantennale, che da qui a un anno ci vedrà nuovamente insieme, in quel di Modena. Viva il 157° Corso, viva le Forze Armate, viva l’Italia”.

Al termine dell’intervento del capo corso nell’aula magna si è tenuto un briefing sulle attività dell’Istituto, a cui è seguita la visita al Palazzo dell’Arsenale. Nella Cappella della Scuola di Applicazione i radunisti sono stati accolti da don Diego Maritano, decano dei cappellani militari di Torino. Un momento di comunione in una giornata particolare. L’11 ottobre è la festa di San Giovanni XXIII Papa, Patrono dell’Esercito. All’inizio della messa, Paolo Ruggiero, già comandante per la formazione e Scuola di applicazione dell’Esercito, ha letto i nomi dei compagni di corso che sono “andati avanti”: Matteo Belloisi, Pietro Chiarelli, Luigi Ciambrelli, Giorgio Croattini, Giuseppe De Lise, Giorgio Di Trapani, Cosimo Fazio, Gianbenedetto Gasparri, Antonio Gelsomino, Antonio Inglima, Agostino Papa, Giovanni Pastore, Dario Ruffini, Costantino Squeo e Maurizio Telloni. Dopo le letture dal profeta Isaia 52: 7-10 e dal Vangelo secondo Luca 6: 13-17, don Diego ha incentrato l’omelia sul significato della stelletta, storico e antropologico. “Per la storia, le stellette a cinque punte sul bavero delle uniformi dell’Esercito Italiano furono previste per la prima volta per gli ufficiali di fanteria nel 1871 e furono estese a tutto il personale militare italiano con regio decreto n. 571 del 13 dicembre 1871 a firma del ministro Cesare Ricotti-Magnani. Le stellette richiamano il più antico simbolo patrio italiano: la Stella d’Italia. La simbologia che vede associare una stella all’Italia nacque nell’antica Grecia e trasse origine dall’abbinamento di Venere, come stella della sera, con l’occidente e quindi con la penisola italiana, una delle denominazioni era Esperia, ovvero terra di Espero, l’astro della sera consacrato a Venere. Nelle Odi barbare, Giosuè Carducci dedicò alla Stella d’Italia i famosi versi dello Scoglio di Quarto: E tu ridevi, stella di Venere, stella d’Italia, stella di Cesare: non mai primavera più sacra d’animi italici illuminasti. Nel 1947 la Stella d’Italia è stata inserita al centro dell’emblema della Repubblica Italiana. Disegnato dal piemontese Paolo Paschetto è divenuto dal 5 maggio 1948 il simbolo iconico identificativo dello Stato italiano. Nel significato antropologico, quando il fidanzato ama la sua ragazza le dice: “sei la mia stella”. In inglese si usa la parola star per indicare una persona che ha raggiunto i vertici nel suo ambito professionale. La parola italiana desiderio deriva dal latino de-sidera, mancanza (de) di stelle (sidera, da sidus, sideris), nel senso di avvertire la mancanza delle stelle, cioè dei segni augurali. Per Kant sono due le realtà che portano a Dio: “Il cielo stellato sopra di me, la legge morale dentro di me”. L’ultimo verso dell’Inferno di Dante (Canto XXXIV): “E quindi uscimmo a riveder le stelle” è un presagio del nuovo cammino, simbolo della speranza. San Bernardo paragona la nostra vita alla traversata in un mare tempestoso, sul quale brilla Maria, stella del mare. Maria è la Stella Maris. Per giungere al porto della salvezza – ha concluso don Diego – l’uomo ha bisogno di essere sorretto dal luminoso esempio di Maria. Guarda la stella, invoca Maria”. Al termine dell’omelia, Salvatore Musso, Arma dei Carabinieri, ha letto la preghiera dell’allievo.

Dopo la messa, afflusso di radunisti e familiari in cortile d’onore per la cerimonia in onore dei Caduti e la foto di corso. Il comandante dell’Istituto, generale di corpo d’armata Antonello Vespaziani e il capo corso hanno deposto una corona al monumento. In seguito, il capo corso nell’ufficio del comandante ha salutato la Bandiera d’Istituto e firmato l’albo d’onore. Ritrovo per tutti presso la Sala Convegno per il pranzo a buffet e i saluti finali. Il generale Vespaziani, nel suo intervento, ha ricordato con emozione di aver rivisto tra i radunisti, superiori, maestri e colleghi con i quali ha lavorato. Ha evidenziato il forte senso di appartenenza e il patrimonio comune di valori che guida le diverse generazioni dei corsi di Accademia, ringraziando tutti e augurando i migliori auspici per il futuro. La visita si è conclusa con lo scambio dell’oggetto ricordo. Il capo corso Antonio Venci ha donato al generale comandante un piatto in ceramica con lo stemma di corso. Il generale Vespaziani ha fatto distribuire a tutti i radunisti una copia della “pagella”, sintesi delle note caratteristiche al termine della Scuola di applicazione. Arrivederci nell’autunno del 2025 a Modena per il cinquantennale del 157° corso. UNA ACIES!

 

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