Non c’è più l’esenzione per gli ultraortodossi, dovranno combattere per Israele
di Fabiana Magrì
Ha provato fino all’ultimo minuto, il premier Benjamin Netanyahu, a comprare tempo. Almeno altri trenta giorni, tanto aveva chiesto in una lettera alla Corte Suprema, scritta e firmata di suo pugno, per posticipare l’entrata in vigore della leva obbligatoria per la comunità ultraortodossa israeliana. E per evitare una crisi di governo che, ora, appare inevitabile. Con una decisione drastica, la più alta magistratura dello stato ha preferito evitare la spaccatura sociale e le manifestazioni che avrebbero incendiato le piazze. E dopo aver già concesso tre proroghe in 24 ore, ha emesso ieri sera l’ordinanza provvisoria con cui ha confermato la scadenza, il prossimo lunedì primo aprile, del quadro giuridico che esonera gli studenti di yeshivot (le scuole religiose dove i ragazzi Haredim studiano Torah) dal servizio militare. La decisione mette di fatto le mani nei portafogli della comunità Haredi. Da lunedì è impedito al governo di finanziare gli stipendi mensili che i giovani ultra ortodossi percepiscono dalle yeshivot. La data spartiacque della retroattività è il 1° luglio 2023. Chi non ha ottenuto il rinvio formale e non si è presentato alle armi, non riceverà più i fondi statali. Gli altri potranno continuare a recepirli provvisoriamente, ma a breve il governo dovrà approvare una nuova cornice legislativa per regolare la leva obbligatoria per questa fetta di società israeliana. O i rubinetti si chiuderanno per tutti.
Netanyahu si era detto vicino a raggiungere un compromesso. Aveva parlato di “notevoli progressi” nel trovare una formula per risolvere il dilemma legale e sociale. Per elaborare il piano nei dettagli, a causa della guerra in corso, aveva chiesto un altro mese di tempo. Il Movimento per la Qualità del Governo in Israele, principale firmatario della richiesta per l’equa coscrizione, ha accolto la decisione della Corte Suprema definendola “storica”, sebbene provvisoria. E’ stato privilegiato lo statuto di eguaglianza rispetto allo status quo originario di un accordo stipulato tra i padri fondatori dello stato e il mondo ebraico ultraortodosso. I sostenitori dell’inclusione obbligatoria degli Haredim nell’esercito ne fanno una questione, oltre che di uguaglianza, di minaccia esistenziale per Israele. A lungo termine, dicono, sarà molto difficile continuare a prosperare, e persino a esistere, come nazione. “Sono giorni difficili, di difficili decisioni. Ma abbiamo bisogno di leader coraggiosi che le prendano”, ha commentato Shuki Friedman, vice presidente del Jewish People Policy Institute. Il numero di cittadini ultra ortodossi esentati dal servizio militare sono tra i 63 e i 66 mila. E i numeri sono proprio ciò che fa la differenza tra i tempi di David Ben Gurion, oggi e il futuro. Gli Haredim, secondo i dati dell’istituto JPPI, rappresentano il 13,5 per cento degli israeliani. Secondo le previsioni, tra 40 anni saranno un terzo della popolazione. Tutti gli sforzi compiuti negli ultimi vent’anni per portarli a servire nell’esercito così come qualunque altro connazionale è obbligato a fare, sono finora falliti.
Ma in tempo di guerra, una guerra dagli sviluppi e dalla durata incerta, il nodo è diventato cruciale. Rivka Ravitz, che al JPPI è una ricercatrice che si dedica allo studio dell’emancipazione delle donne ultraortodosse come lei nel mercato del lavoro, spiega l’ostacolo alla leva obbligatoria nel suo settore dalla prospettiva di una madre haredi. E lo fa partendo dal suo microcosmo. “Ho un cugino ultra ortodosso – racconta – che ha prestato servizio nell’esercito. Quando ne è uscito non era più Haredi. Questa è davvero una preoccupazione di cui le madri sono spaventate”. Prima della guerra si stava facendo strada nella società israeliana, anche tra la sinistra laica, la possibilità di una resa su questo scoglio finora insormontabile. L’idea di un esercito più agile e meno numeroso era visto come un nuovo modello a cui aspirare. La nuova tendenza della politica, con buona pace della società, era il baratto dell’esenzione completa dal servizio militare con un maggiore coinvolgimento nella forza lavoro e nell’high tech.
In guerra, tutti i paradigmi sono saltati. Servono più soldati lungo i confini. E a tempo indeterminato. “Se non reclutiamo ultra ortodossi – esemplifica Shuki Friedman – significa che io stesso e i miei amici dovremo servire più giorni come miluim, riservisti. E che i ragazzi più giovani, che presto si arruoleranno, dovranno servire più a lungo”. L’uguaglianza è certamente uno degli aspetti della questione. Ma oggi si sovrappone al tema della sopravvivenza di uno stato che deve trovare la formula per restare in equilibrio tra sicurezza e prosperità.
Fonte: Il Foglio