di Giulio Meotti

Le parole di Yoav Gallant, ministro della Difesa israeliano, sono risuonate come pietre. In un intervento alla Commissione parlamentare per la sicurezza e la difesa, il ministro ha dichiarato che Israele è attaccato su sette fronti e che su sei di essi ha già reagito. “Siamo stati attaccati da Gaza, Libano, Siria, Cisgiordania, Iraq, Yemen e Iran. Abbiamo reagito e operato contro sei di quei fronti”. Ma per Yossi Kuperwasser (nella foto), l’ex brigadiere generale dell’esercito direttore dell’unità di ricerca dell’intelligence militare israeliana, c’è un ottavo fronte non meno decisivo: “Come nel 1948 fummo attaccati da sette eserciti” dice Kuperwasser al Foglio. “L’ottavo fronte è l’arena internazionale, con la delegittimazione di Israele, e non è meno importante del fronte militare. C’è un tentativo di convincere Joe Biden a fermare Israele. Finora non è stato un successo, ma potrebbe averlo”.

Perché la guerra prosegue sul campo. “Facciamo progressi, nel nord a Gaza è quasi completo e ci possiamo muovere verso la fase nuova. Nel sud facciamo progressi a Khan Younis, ma abbiamo molte sfide di fronte e dobbiamo fermarci a Rafah e nel ‘Corridoio Philadelphia’. Hamas spera di mantenere il potere in una piccola parte di Gaza. E quando avremo finito a Gaza, forse convinceremo Hezbollah a non sacrificarsi”.

Sullo strike che ha ucciso il numero due di Hamas, Saleh al Arouri, Kuperwasser taglia corto: “Lo avevamo detto che li avremmo colpiti ovunque”.

Ignoto quanto durerà la guerra. “La fase due settimane, la fase tre mesi. Questa non è una guerra per scelta; è stata imposta a Israele e ciò è iniziato in condizioni iniziali estremamente difficili. E proprio per questa ragione, sia Israele sia gli Stati Uniti devono concluderla con una vittoria”.

Per raggiungere questo obiettivo sono necessarie diverse condizioni. “Il primo e più importante è la chiara sconfitta di Hamas a Gaza e il rilascio dei prigionieri. Ciò significa il controllo israeliano alla fine dei combattimenti ad alta intensità su tutta l’area, comprese Rafah e la ‘rotta di Philadelphia’. Finché Hamas controlla il lato di Gaza del valico di Rafah ed è percepito dalla popolazione come un’entità governativa, potrebbe affermare di essere riuscito a sopravvivere e, di conseguenza, di aver vinto. E’ anche importante trasmettere il messaggio – nei colloqui con gli Stati Uniti – che per sconfiggere Hamas è necessario creare nella Striscia una realtà che non permetta ai terroristi di alzare la testa. Pertanto, non solo Hamas, ma anche la debole e corrotta Autorità Palestinese non è adatta ad assumersi la responsabilità di Gaza nel dopoguerra: resta impegnata nel conflitto contro Israele, incoraggia il terrorismo (attraverso l’incitamento e il pagamento di stipendi ai terroristi imprigionati) e vede Hamas come un’organizzazione legittima che dovrebbe far parte della leadership”.

E dopo Hamas a Gaza come evitare che si ripeta un altro 7 ottobre? “Tre condizioni: basta allevare una generazione a pensare che gli ebrei non abbiano diritto a un solo grammo di terra e che debbano essere uccisi; l’infrastruttura militare che aveva Hamas, quindi Gaza, deve essere disarmata; infine, la percezione d’Israele come debole e diviso e incapace di difendersi”.

Intanto, sullo scenario dei sette fronti, Israele ha colpito a Tulkarem, la città sotto l’Autorità Palestinese più adiacente alla Linea verde, mentre le comunità israeliane oltre confine, come Kochav Yair-Tzur Yigal, a soli trecento metri dalla città palestinese di Qalqilya, hanno chiesto l’intervento dell’esercito: sentono da settimane strani rumori sotto le proprie case. Temono un 7 ottobre sulla costa.

Fonte: Il Foglio

Foto: Miriam Alster/Flash90

 

 

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