LinkedIn è senza paillettes, ma trova lavoro e va alla grande in Borsa
I meno “connected” tra noi conoscono LinkedIn perché spesso arrivano e-mail di qualcuno che vuole invitarti a entrare in questo social network. I meno “connected” tra noi ignorano l’invito e cestinano l’e-mail, ma forse sbagliano. LinkedIn è il più grande network professionale online, non serve per cercare il primo fidanzatino delle medie ma per cercare lavoro, e spesso trovarlo. A differenza di quanto è accaduto a colossi internettiani come Facebook, Groupon o Zynga, che alla prova del mercato hanno perso un po’ del loro innato sbrilluccichio (sta perdendo le paillettes anche Apple: tutti si annoiano, prima o poi), LinkedIn non fa che crescere, ha triplicato il suo valore da quando è entrato in Borsa nel maggio del 2011, oggi ogni azione vale 168 dollari. Come ha ricordato ieri il Wall Street Journal, LinkedIn è da sempre soprannominato “il brutto anatroccolo” dei social media, perché non ha nulla che inviti alla socialità, però ha un tasso di utilità che tutti gli altri network se lo sognano. Il modello di business è diverso rispetto a Facebook – servizio gratis che si ripaga con la pubblicità – e si fonda sui servizi ai consumatori, che in generale sono professionisti (che possono controllare anche com’è la loro professionalità online, la percezione che ha di te il settore in cui lavori, che si traduce in un “quanto vali” a volte frustrante), ma soprattuto sui servizi a pagamento per le aziende. Consulenze e recruiting sono i servizi che funzionano meglio e ci sono aziende come la Pepsi che si affidano quasi esclusivamente a LinkedIn per assumere dipendenti.
Le cosiddette “talent solutions” contribuiscono per quasi la metà ai 972 milioni di dollari di ricavi l’anno ed è su questo business – che offre servizi sempre più accurati alle aziende affinché la domanda e l’offerta di lavoro si incontrino perfettamente – che LinkedIn ha intenzione di investire ancora di più. Assieme a contenuti e approfondimenti con blog di esperti, informazioni economiche, minicomunità di gente che ha un qualcosa in comune che non sia l’oratorio del paese d’origine. E’ la faccia seria, efficace, professionale di una socialità altrimenti giuliva, piena di cinguettii e di “like”, utile per riempire 20 minuti di solitudine ma non per pagare il mutuo. E alla faccia di chi pensa che Internet sia diventata soltanto roba da chiacchiere, il brutto anatroccolo funziona.
Fonte: Il Foglio