Giuseppe Cavo Dragone: “Una difesa comune è il deterrente contro qualsiasi aggressione. Non possiamo permetterci un altro conflitto “congelato” nel cuore dell’Europa”

di Marco Menduni

È trascorso un anno dall’inizio della guerra. Lei aveva già detto che «non esiste soluzione militare a questo conflitto», opinione ora ribadita dal capo di stato maggiore Usa, il generale Mark Milley. La sua opinione è invariata?

«Sono sempre dell’idea che una soluzione militare non si possa trovare. Né gli uni, i russi, riusciranno mai a disarcionare la leadership ucraina, né gli ucraini potranno riuscire a riconquistare tutti i territori che sono stati invasi dalla Russia. Questo è un dato che rimane costante nel tempo. Sicuramente non possiamo permetterci un altro conflitto “congelato” nel cuore dell’Europa. Lo avevo detto al Copasir: è necessario fare una riflessione anche sul dopo, sul mondo che verrà, diverso da quello che era prima dell’invasione dell’Ucraina. Non ci sono alternative a superare le macerie e il dolore».

Era possibile evitare che la situazione arrivasse a questo punto?

«Io credo che non ci sia ancora una risposta alle domande che mi sto per fare, ma alle quali dovremo dare una risposta nel prossimo futuro. Ci sono stati elementi di instabilità che non abbiamo colto prima del 24 febbraio? C’è stata qualche carenza nella comunicazione? Avremmo potuto avere una maggiore possibilità nel proporre dialogo e inclusione? Dovremo fare un esame di coscienza per capire se la comunità internazionale poteva dare delle risposte in questo senso. Ma ora probabilmente sono ancora acerbe come domande».

Come giudica il piano di pace della Cina?

«Non ho ancora avuto modo di approfondirlo. Ma mi sento di dire che al momento attuale non dobbiamo trascurare nulla. Tutto, qualunque elemento possa essere foriero di un cambio della situazione, va esaminato con attenzione».

Anche prima dell’invasione era in corso il dibattito su come realizzare un modello unico di difesa europea.

«Il conflitto in Ucraina ha dato un forte impulso a quello che forse in passato era un po’ un problema dormiente, che avanzava con una certa pigrizia. Adesso è arrivata una sveglia particolarmente forte, l’Ue ha reagito in maniera unitaria. Ma c’è anche un altro aspetto di particolare importanza».

A cosa si riferisce?

«È avanzato a grandi passi il processo di integrazione nel settore della politica di sicurezza, che è il punto di partenza per una politica successiva militare di difesa. Con la Bussola Strategica di recente pubblicazione noi finalmente oggi affrontiamo il problema in maniera concreta e matura per consentire una forza militare europea. C’è un primo nucleo solido di 5 mila uomini della Difesa europea indirizzati a essere dispiegabili anche in territori distanti come nucleo iniziale di presenza».

Serve un passo avanti?

«A differenza dell’Alleanza atlantica, che è un’alleanza militare, l’Ue non lo è ancora. Quindi serve una catena di comando e di controllo fortemente orientata alla struttura militare, un centro decisionale politico come avviene anche per il Consiglio Atlantico, anche per l’Europa. Non c’è da inventare molto. Dobbiamo confrontarci in maniera matura e propositiva con il tema della sovranità di ciascun singolo Stato. Ma lo sviluppo della difesa europea deve essere visto come un arricchimento della capacità dell’Occidente nel suo insieme. Il tutto va messo a sistema come colonna europea dell’Alleanza atlantica, dobbiamo essere complementari senza sovrapposizione».

L’obiettivo finale?

«Creare un livello di deterrenza tale che un ipotetico avversario capisca che un atto di aggressione non pagherebbe a fronte delle ritorsioni e a quello che ne deriverebbe in termini di risposta in campo militare, economico, sociale».

C’è anche un piano sulla produzioni di armamenti?

«Devono essere messe in comune le necessarie risorse per far decollare, ad esempio, le joint venture delle varie industrie di varie nazioni. Con tempi di consegna più accelerati rispetto a ora».

In un’Europa che spesso stenta a trovare una strada comune, quali sono i rapporti tra le Forze armate dei vari Paesi? Un esempio: qualche criticità emersa tra Italia e Francia ha creato contraccolpi a livello di rapporti in questo settore?

«Noi con i colleghi francesi ci troviamo in perfetta sintonia. Anche perché il Trattato del Quirinale ha avuto nelle due Difese, francese e italiana, i risultati migliori, che si sono concretizzati nel Mediterraneo con le unità navali. Abbiamo tanti programmi che ci vedono fianco a fianco. La parte militare è sempre stata quella che ha dettato i ritmi più veloci ed efficaci».

La nostra Marina è intervenuta per tenere sotto controllo le navi russe che si sono spinte nell’Adriatico. Sono mai stati sfiorati momenti critici?

«La cosa più difficile in Italia è mantenere i segreti. Mi sono sentito in dovere di intervenire per garantire ai nostri cittadini che la Marina italiana si è sempre tenuta a contatto stretto con le navi russe. Abbiamo agito sotto il profilo della deterrenza in maniera ottimale, facendo in maniera tale che l’attività della flotta delle Federazione Russa non fosse mai aggressiva e invasiva».

Qual è la situazione del dispiegamento dei nostri militari nelle aree più critiche?

«I momenti critici ci sono e sono sotto gli occhi di tutti. Abbiamo visto come in concomitanza con la crisi ucraina c’è stata una recrudescenza della conflittualità in zone come la Libia, la Siria, il Sahel, il Golfo Persico. Tutti quei teatri in cui ci sono Paesi, organizzazioni e milizie che sono prossime alla Russia. Noi siamo presenti in queste aree. La Difesa è presente con 8 mila donne e uomini in una fascia che va dai Paesi baltici, dall’Islanda con l’aeronautica, a una fasci che avvolge i nostri confini a Est passando per la Romania, in Bulgaria per poi proseguire con le missioni tradizionali nel Kosovo, nel Libano. L’impegno è grosso, non credo sia destinato a diminuire, semmai ad aumentare».

È notizia delle ultime ore di un attacco hacker ad alcuni siti istituzionali. La Difesa come sta reagendo a questa sfida?

«Noi stiamo investendo nel cyber da una decina di anni. Non siamo dei neofiti. Abbiamo una struttura incentrata su un comando operativo che è incaricato di difendere le nostre reti. È il Cor, il comando operativo di rete. Sta facendo il suo mestiere in modo ottimo. Ci son i nostri cyber-soldati che sono 24 ore su 24, 7 giorni su 7, in una centrale operativa decisamente sofisticata. Quello degli ultimi giorni è stato un attacco di tipo applicativo. È stato schermato. Ce l’aspettavamo perché è avvenuto in concordanza con la visita del presidente del Consiglio a Kiev. Eravamo pronti».

Fonte: La Stampa, 24 febbraio 2023

Foto: Archivio

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