Foto: Luigi Chiapperini

Il generale di corpo d’armata Luigi Chiapperini, oggi al centro studi dell’Esercito, a Huffpost: “Minimizzare la minaccia russa è pericoloso. Se dovesse ottenere risultati positivi dalla guerra in Ucraina, andrebbe avanti nella sua politica revanscista, più volte dichiarata: Transnistria, Moldova e Paesi baltici potrebbero essere i prossimi obiettivi”.

(Intervista a cura di Carlangelo Mauro)

“La Russia non è nostra nemica”, si legge su manifesti affissi in Italia. Un sondaggio di Ipsos di marzo ci dice che i sostenitori dell’Ucraina, la porta dell’Europa, sono scesi al 32%. Mentre scrivo si sta svolgendo la manifestazione del 5 aprile per la pace, promossa dal Movimento 5 stelle, che era già contro l’invio di armi all’Ucraina, ora contro il riarmo europeo. Il problema è capire se la Russia voglia veramente la pace, a maggior ragione dopo che la tregua con il cessate il fuoco completo, accettata dagli ucraini su proposta americana, non è stata accettata dal Cremlino, che ha voluto restringerla alle sole infrastrutture energetiche. Se si guardano le tv nazionali russe, strumento fondamentale del regime, sembrerebbe proprio che la Russia non sia amica dell’Europa: nei talk-show viene presentata da propagandisti la potenza delle testate nucleari tattiche russe capaci di incenerire in pochi minuti le capitali europee dalle basi di Kaliningrad. Se si leggono le dichiarazioni dell’ex presidente della Federazione russa, Dmitrij Medvedev, il risultato è il medesimo: recente la dichiarazione di una cura intensiva della russofobia europea con tutta una varia tipologia di missili, compresi quelli nucleari. Già precedentemente Medvedev in un post su Telegram del 27 dicembre 2024 aveva invitato a punire “con tutti i mezzi disponibili, politici, economici e ibridi” l’Europa; a sostenere “processi distruttivi in Europa”, inneggiando a pogrom per le strade, a folle di migranti che commettono atrocità e distruggono con odio i valori europei delle famiglie arcobaleno. Sui social molti ridicolizzano tali proclami. Ma intanto la guerra ibrida russa è una realtà, come ha ricordato Friedrich Merz il 18 marzo. Vladislav Surkov, uno dei creatori del putinismo, in una intervista su L’Express” del 19 marzo, ha dichiarato: “La Russia si espanderà in tutte le direzioni, fin dove Dio vorrà”. In una recente intervista, pubblicata in marzo dalla BBC, l’influente accademico russo Sergej Karaganov, da tempo fautore di un attacco nucleare alla Ue in caso di attacco convenzionale alla Russia (cui la Nato a suo dire non risponderebbe per la sua debolezza), ha affermato che la guerra non è solo contro l’Ucraina, ma anche contro l’Europa, divenuta solo “spazzatura”. Una sua frase ricorrente è: “Spezzare la spina dorsale dell’Europa”. Non si può dire, in conclusione, che i russi manchino di chiarezza nella comunicazione. Abbiamo parlato di questi argomenti e di altro con Luigi Chiapperini, “anziano d’accademia” del colonnello Orio Giorgio Stirpe, già intervistato su questo spazio. Chiapperini, attualmente membro del Centro Studi dell’Esercito, è Generale di Corpo d’Armata dei Lagunari in quiescenza e ha comandato il contingente italiano in Kosovo nel 2001, quello ONU in Libano nel 2006 e quello NATO in Afghanistan nel 2012.

Generale Chiapperini, dobbiamo prendere sul serio le minacce del regime putiniano e/o la sua guerra ibrida verso l’Europa?

Molti minimizzano quelle minacce e le considerano invenzioni di analisti filo ucraini. Non è così e ne abbiamo l’evidenza. Già oggi assistiamo alla guerra ibrida portata da Mosca all’interno dell’Europa con attacchi che afferiscono non solo all’area cognitiva volta ad orientare a suo favore la nostra società, ma riguardano anche vere e proprie attività offensive come quelle cibernetiche che hanno già colpito le nostre strutture civili e militari, i sabotaggi e finanche alcuni tentativi di assassinio. L’aggressione armata all’Ucraina poi è un sintomo evidente di come la Russia stia perseguendo ormai una politica avulsa dal diritto internazionale. La domanda che mi pongo spesso è quale potrà essere l’atteggiamento di Mosca nel momento in cui dovesse ottenere risultati positivi dalla guerra in Ucraina. Il mio parere è che quel possibile esito favorevole la spingerebbe a proseguire nella sua politica revanscista, più volte dichiarata, di inglobare prima o poi nuovamente sotto la sua influenza quanto meno l’Europa dell’Est: la Transnistria, la Moldova e i Paesi baltici potrebbero essere i prossimi obiettivi. Inoltre, compagnie di mercenari russi sono già presenti nel continente africano e pertanto la Russia è già in grado di influire sulle politiche migratorie ed energetiche che interessano direttamente i Paesi mediterranei come l’Italia. Le minacce non si limitano a questo. Analizzando gli scenari attuali, e quelli che potrebbero aprirsi nel medio e lungo periodo, non solo dobbiamo prendere sul serio Mosca ma anche altri attori globali e regionali. Mi riferisco in particolare alla Cina, che ha messo anch’essa piede in Africa con il controllo di hub logistici civili che domani potrebbero essere convertiti all’occorrenza in basi militari con il consenso, più o meno volontario, delle nazioni ospitanti. Non dimentichiamoci poi dell’Iran che con i suoi missili balistici, che in un futuro più o meno lontano potrebbero trasportare anche testate nucleari, è già in grado di colpire l’Europa. Al momento di fronte a queste minacce reali e documentate, immanenti e potenziali, le forze armate degli Stati europei sono solo parzialmente pronte.

Il governo Trump ha espresso un profondo disprezzo per l’Europa. Nella chat su Signal che ha fatto scandalo, il presidente e il suo vice Vance sono d’accordo nel considerare gli europei dei “parassiti”. Quali le possibili conseguenze per la Nato e per la difesa europea di tale atteggiamento?

Per decenni si è fatto affidamento sull’ombrello statunitense che dalla fine della Seconda guerra mondiale, con la Nato, ha effettivamente contribuito in maniera sostanziale ad assicurare la pace in Europa come non accadeva da secoli. Pertanto, tutti i Paesi europei, chi più chi meno, hanno ritenuto possibile e conveniente sottofinanziare il comparto Difesa con le evidenti criticità in vari settori capacitivi che notiamo oggi. Con l’insediamento del nuovo presidente americano Donald Trump molto è cambiato e quell’ombrello potrebbe chiudersi: c’è una nuova postura strategica degli Usa con priorità ad altri quadranti strategici come l’Indo-Pacifico e l’Artico. Trump ed i suoi collaboratori ci hanno quindi detto, in maniera più o meno raffinata, che i problemi europei devono essere risolti dagli europei. Sulla Nato da Washington continuano a pervenire posizioni contraddittorie e quindi dobbiamo prepararci allo scenario peggiore come un possibile allentamento dei vincoli che hanno sinora legato gli Usa all’Alleanza Atlantica. Ritengo che quell’eventualità costituirebbe un errore, ma dovesse accadere bisognerà iniziare a pensare a qualcosa di diverso. Credo che il rinnovato attivismo europeo sia scaturito proprio da questa consapevolezza. Parlando della nostra Italia, mi sembra che navighiamo in una fase interlocutoria, a metà strada tra gli sforzi per salvare gli storici legami transatlantici e la consapevolezza che qualcosa possa effettivamente cambiare.

Il Parlamento europeo ha approvato il piano di riarmo, ribattezzato Readiness 2030. In cosa consiste e da quali possibili minacce ci dobbiamo difendere? Inoltre, nel suo libro Il conflitto in Ucraina, del 2022, c’è un capitolo, che inizia a p. 111, intitolato: “L’Unione Europea (gigante inibito)”, in cui sintetizzava diverse criticità, come la mancanza “di una politica di sicurezza e difesa e di forze integrate” europee e, fra l’altro, già parlava di una “coalizione di volenterosi” come soluzione. Ma, le chiedo, armare i singoli stati europei senza un comando strategico e un esercito unico non potrebbe rivelarsi fallimentare?

Accennavo prima alla debolezza intrinseca delle nostre forze armate. È fuor di dubbio che nel quadro attuale bisogna correre ai ripari per riacquisire le necessarie capacità militari. Con il piano Readiness 2030 l’Europa intende mettere i paesi membri nelle migliori condizioni per poter avviare una politica volta a porre rimedio ai danni provocati da anni di sotto finanziamento alla Difesa, evitando in particolare un impatto negativo sui conti. L’Italia è il paese, tra quelli più importanti europei, che ha i ritardi più gravi specialmente nella componente terrestre, cioè l’Esercito: siamo carenti nei settori forze corazzate (carri armati, caccia carri, mezzi da trasporto e combattimento per la fanteria), artiglierie e droni, mezzi del genio per lo sminamento e il forzamento dei campi minati, difesa aerea e missilistica, trasporti strategici, intelligence e ricognizione tattica e strategica, senza dimenticare le importantissime capacità da acquisire nei domìni spaziali e cyber. Per quanto attiene ad Aeronautica e Marina, stiamo messi meglio, ma occorre continuare a sviluppare sistemi per mantenere la superiorità tecnologica anche in questi due domìni. Il solo riarmo dei singoli Paesi non è sufficiente e va considerato nell’ambito del più ampio discorso della difesa integrata europea. Dire sì alla difesa europea e non al riarmo è una contraddizione in termini poiché costituiscono due fattori entrambi critici. Potenziare solo le forze armate dei singoli Stati sarebbe insufficiente, intanto perché nessun Paese sarebbe in grado di affrontare autonomamente le minacce attuali e future. I sostenitori di questa tesi affermano che però basterebbe riunire queste forze all’occorrenza per rispondere a eventuali minacce, ma non è così. Nulla si improvvisa. Per poter impiegare congiuntamente assetti militari provenienti da diverse nazioni c’è bisogno di comandi multinazionali integrati costituiti già in tempo di pace di cui al momento dispone solo la Nato. Peraltro è sotto gli occhi di tutti che le attuali capacità militari europee, anche nel loro complesso, risultano insufficienti e ci mancherebbero alcune capacità strategiche che solo gli Usa posseggono. In sintesi, bisogna procedere in entrambe le direzioni in maniera coordinata. Da un lato l’Europa dovrebbe indirizzare in maniera ottimale le risorse e realizzare economie di scala nell’acquisizione dei nuovi armamenti da parte dei singoli Stati, il che porterebbe sicuramente molti benefici con sostanziali risparmi, oltre a consentire l’acquisizione di nuove tecnologie con una politica industriale di ricerca e sviluppo integrata. Dall’altro, nel caso di possibile svuotamento del ruolo centrale finora ricoperto dalla Nato, l’Europa dovrebbe dotarsi innanzitutto di una vera politica estera e di difesa comune (al riguardo forse si dovrebbe ridefinire l’attuale sistema di governance che risulta alquanto farraginoso). Poi risulta necessario dotarsi di una struttura politico-militare di comando e controllo alla quale affidare in caso di necessità parte delle proprie forze armate, né più né meno come già accade con successo nell’Alleanza Atlantica. In sintesi, dovremo decidere se potenziarci come pilastro europeo della Nato o, se necessario, procedere con una difesa europea integrata autonoma.

È dell’ultima ora la notizia di attacchi nella zona residenziale della città d’origine del presidente Zelensky, Kryvyj Rih: venti morti, nove sono bambini (nella zona c’era un parco giochi). C’è una strategia in questi attacchi russi ai civili ucraini che da tre anni continuano senza tregua?

La strategia russa è semplice: tenere sotto pressione l’Ucraina, non importa se colpendo un obiettivo militare, una centrale elettrica o un centro abitato. Di queste stragi da noi si parla poco, con una parte della nostra opinione pubblica che sembra essersi assuefatta alla propaganda che insiste affinché si fermi questa guerra senza spiegare però come farlo e senza manifestare affinché quegli attacchi cessino. Anzi quella minoranza mette sul banco degli imputati l’Ucraina (che per loro non dovrebbe difendersi) e l’Europa (che non dovrebbe riarmarsi). Una situazione alquanto paradossale.

Qual è l’attuale situazione sul terreno in Ucraina? Ci sono spiragli per arrivare finalmente alla pace vera?

I russi a inizio guerra avevano occupato circa il 30% del territorio ucraino. Oggi, dopo tre anni di conflitto sanguinoso, hanno il controllo di circa il 20%. Peraltro sul campo da mesi hanno l’iniziativa militare, ma con conquiste territoriali limitate rispetto alle gravissime perdite umane e materiali sofferte. Solo per dare un’idea, in tutto l’anno 2024 i russi, lungo il fronte di più di mille chilometri nel sud dell’Ucraina, sono riusciti a conquistare territori pari all’estensione della nostra provincia di Brescia perdendo in questi assalti continui circa 400 mila soldati tra morti, feriti, dispersi e prigionieri, oltre a ingenti quantitativi di mezzi militari. Nel contempo, gli ucraini sono riusciti a penetrare in territorio russo nella regione di Kursk. Il 2025 vede i russi ancora all’offensiva ma con gli ucraini che, nelle ultime settimane, pur perdendo quasi interamente i territori nella regione di Kursk, ne hanno conquistati altri nella regione russa di Belgorod e stanno lanciando con successo contrattacchi locali che sembrano aver fermato lo sforzo principale dei russi volto ad investire la città di Pokrovs’k. In sintesi, una situazione fluida che vede gli ucraini ancora determinati a resistere per evitare che i russi conquistino per intero le quattro regioni ucraine del sud che dopo più di tre anni di guerra non sono ancora riusciti a controllare completamente, ma che ai tavoli dei negoziati continuano a pretendere caparbiamente. Si susseguono intanto gli attacchi di Mosca in profondità con missili, droni e bombe d’aereo che hanno causato tanti morti civili e danni diffusi alle infrastrutture in tutta l’Ucraina, mentre Kyiv sembra aver trovato nei suoi nuovi droni e missili la maniera per infliggere danni al sistema energetico russo. I contendenti stanno in pratica provando ad esercitare la più alta pressione possibile sul nemico allo scopo di orientare a proprio favore le trattative in corso che procedono molto lentamente e, almeno al momento, senza spiragli di soluzione. Le mire espansionistiche di Mosca e il naturale desiderio di Kyiv di sopravvivere come paese sovrano salvaguardando i suoi confini internazionalmente riconosciuti non consentono di giungere a quella pace che Trump aveva promesso di poter imporre il giorno dopo il suo insediamento. In un’udienza al Senato degli Stati Uniti, il generale Christopher Cavoli (comandante delle forze statunitensi in Europa e comandante supremo dell’Alleanza Atlantica), riguardo al conflitto in Ucraina e rivolgendosi a quanti ritengono che la Russia abbia già vinto, ha affermato: “Niente in guerra è certo”. Ha aggiunto che, sebbene un’offensiva decisiva degli ucraini al momento sia difficile, la loro sconfitta è improbabile. Parole sulle quali mi sento di concordare appieno, avendo lavorato in missione gomito a gomito con il generale Cavoli, uomo e ufficiale affidabilissimo, molto capace e per nulla guerrafondaio.

Fonte: Huffpost

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