di Riccardo Maccioni

Una parola che esprime attenzione, gusto dell’incontro, stima. Che anche quando introduce un attacco verbale, non alza i toni del discorso, anzi sembra voler prendere le distanze da quanto sarà detto subito dopo. L’Istituto dell’Enciclopedia Italiana Treccani ha scelto “rispetto” come parola del 2024. Una decisione che sembra un auspicio, che porta con sé il desiderio di costruire, di usare il dizionario non per demolire chi abbiamo di fronte ma per provare a capirne le ricchezze, le potenzialità. Perché se è vero che le parole possono essere pietre, è altrettanto giusto sottolineare come siano in grado di diventare il cemento necessario a edificare case solide e confortevoli, la colla capace di tenere insieme una relazione a rischio di rottura. «Il termine rispetto, continuazione del latino respectus – spiegano Valeria Della Valle e Giuseppe Patota, condirettori del Vocabolario Treccani – va oggi rivalutato e usato in tutte le sue sfumature, proprio perché la mancanza di rispetto è alla base della violenza esercitata quotidianamente nei confronti delle donne, delle minoranze, delle istituzioni, della natura e del mondo animale».

E la conferma arriva proprio dai termini che rimandano al significato opposto, tutti concetti orientati a distruggere le relazioni, a demolire gli altri: indifferenza (che spesso fa più male dell’odio), noncuranza, sufficienza fino ad arrivare all’insolenza, al disprezzo, allo spregio. E pare di sentirli certi dibattiti dove per festeggiare una vittoria si dice “li abbiamo asfaltati” o quelle interviste sportive con l’allenatore che rivendica “la cattiveria” come ingrediente indispensabile per scalare la classifica.

Rispettare è tutt’altro, affonda le sue radici in respicere che, letteralmente significa guardare di nuovo, guardare indietro, cioè richiama il dovere di non cedere alla smania del giudizio immediato figlio dell’emotività, che non tiene conto delle storie delle persone, delle loro battaglie interiori. Occorre, invece, allenarsi alla bellezza del prendersi cura, del fare attenzione, del preoccuparsi per la vita altrui, così che la comunità possa crescere in armonia facendo assaporare in chi ne fa parte il gusto dell’appartenenza alla medesima famiglia umana. Il rispetto, dunque, come rivendicazione dell’importanza delle relazioni autentiche, oltre la superficialità, soprattutto libera dalla schiavitù della banalità, dell’approccio interpersonale mediato unicamente dai social, che possono essere un bene a patto che non si deleghi loro la semina dei rapporti umani.

Non a caso l’Oxford dictionary ha incoronato brain rot come parola simbolo del 2024. Si tratta di un neologismo a indicare “il presunto deterioramento dello stato mentale o intellettuale di una persona”. Sotto accusa il consumo eccessivo di cose, nel senso di contenuti soprattutto online, poco stimolanti, banali, che filtrano la realtà sotto l’unica lente del virtuale, barattando il rapporto umano con la mediazione dominante, spesso unica, della tecnologia. Nessuna condanna a priori delle Rete, lo ripetiamo, ma l’esigenza di dire che l’esistenza non è soltanto quello che si pubblica sullo smartphone, ma la quotidianità vissuta nella relazione concreta, condivisa, in cui si ragiona e si respira insieme. Perché è appunto insieme che si immagina una società diversa, la si sogna sapendo che se è una comunità intera a progettare il futuro, sarà più facile vederlo realizzato. In inglese, quanto meno nella sua declinazione contemporanea, questo desiderio si traduce nel concetto di manifest, scelto a sua volta come parola dell’anno dal Cambridge Dictionary, che lo spiega così: «Immaginare di realizzare qualcosa che si desidera, nella convinzione che così facendo si aumenteranno le probabilità che ciò accada». Il segreto perché avvenga, e orientato nel segno di un’umanità che non smarrisce le ragioni del cuore, sta dunque nel volerlo fortemente, ponendo le basi perché cresca non solo in altezza, così da ridurre la distanza tra terra e cielo, ma anche in larghezza, come un grande abbraccio da cui nessuno venga escluso. Il primo passo, allora, è purificare il dizionario, disarmare i discorsi, rifiutare la dittatura della cultura che, per dirla con don Lorenzo Milani, premia chi sa tante parole rispetto a chi ne conosce poche. Una, fondamentale, da respirare tutti, da vivere più che da ripetere semplicemente, è rispetto.

Fonte: Avvenire

 

 

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