Chi deve portare il fardello della sicurezza del paese? La domanda che può far cadere Natanyahu
di Micol Flammini
Laly Derai il 16 giugno forse provava soltanto fastidio, si mise a scrivere un post su Facebook per dire: “Ogni soldato ha un cerchio attorno, fratelli, genitori, amori, figli, vicini, compagni di classe, amici. Quando un soldato viene ucciso o ferito tutte queste persone sono coinvolte. Da quel momento in poi, non vivranno più come prima”. Laly Derai aveva messo in cima al post anche un titolo: “L’uguaglianza nel portare il fardello non racconta tutta la storia”. Mentre lei scriveva, alla Knesset, il Parlamento israeliano, veniva discussa la legge per l’esenzione dalla leva degli ultraortodossi. Mentre i politici discutevano, undici soldati israeliani morivano in un’imboscata nella zona di Rafah, a sud della Striscia di Gaza.
Uno dei soldati uccisi si chiamava Saadia Yakov, aveva ventisette anni ed era il figlio di Laly Derai: la madre del soldato intenta a scrivere il suo post, infastidita dal dibattito alla Knesset, ancora non sapeva che non sarebbe vissuta più come prima, il suo “cerchio” era stato colpito. Il fastidio si è trasformato in dolore e rabbia, liquefatti nelle domande che Israele si fa e che dal 7 ottobre sono diventate più pressanti: chi deve portare il peso dell’esistenza del paese? Chi deve pagare il prezzo di ogni guerra? Perché non tutti?
Dopo l’attacco di Hamas contro i kibbutz del sud di Israele, all’esercito sono arrivate circa duemila richieste di arruolamento da parte degli haredim, la comunità di fedeli più osservante, il portavoce di Tsahal, Daniel Hagari, aveva detto che si trattava del dato più alto mai registrato, segno del fatto che qualcosa nella società stava cambiando. Era una reazione, non abbastanza per cambiare la situazione di una legge che Israele si ostina a rinviare. Non esiste una norma per la quale gli haredim dovrebbero essere esentati dal servizio militare, intanto che la politica non riesce a prendere una decisione, viene approvata l’esenzione in base a un accordo che risale al 1948, il Torato Umanuto, che vuol dire “lo studio della Torah è il suo lavoro” e risale ai tempi in cui David Ben-Gurion dispensò quattrocento uomini, studenti delle yeshivot, le istituzioni che si occupano dell’educazione religiosa, a prestare il servizio militare fino a quando non avessero trovato un’occupazione. Probabilmente non la trovarono mai, oggi da quattrocento sono diventati molti di più mentre il principio di esenzione va avanti per inerzia e per mancanza di decisione. La spaccatura nella società si fa sempre più profonda: gran parte della popolazione ultraortodossa vive con i sussidi dello stato, rifiuta il servizio militare, ritiene di doversi dedicare allo studio della Torah e nonostante venga chiamata, come tutti gli altri cittadini, a presentarsi alla leva, può rinviare l’arruolamento fino a quando non avrà compiuto il suo percorso di studi, che di solito termina dopo i ventisei anni, quindi oltre il limite di età per la coscrizione. Chi finora ha combattuto le guerre in Israele, chi ha risposto agli attacchi degli eserciti confinanti, e chi in questi mesi è a Gaza, di solito non fa parte della comunità ultraortodossa, nonostante gli sforzi dell’esercito di creare un ambiente favorevole, che risponda all’osservanza della religione ebraica. La società sta cambiando, a livello demografico, la parte di popolazione che cresce di più con un aumento del 4 per cento all’anno è proprio quella più religiosa che non presta il servizio militare e spesso non lavora; gli israeliani osservano questi numeri da anni e vedono un problema grande per il futuro dello stato: chi difenderà il paese? chi produrrà per il paese? Tutto è diventato più urgente dopo il 7 ottobre, con gli attacchi di Hamas, con la guerra a Gaza, con la conta inevitabile di quanti soldati lavorano per l’esercito israeliano e quanti cittadini credono invece di poter godere del diritto di farsi difendere da altri. Yair Lapid, il capo di Yesh Atid, uno dei maggiori partiti di opposizione, ha calcolato che senza l’esenzione degli ultraortodossi, Tsahal potrebbe avere cento battaglioni in più. La Corte suprema ha chiesto al governo di fare una riforma, di regolare la coscrizione di questa parte di popolazione e non vedendo una risposta da parte della politica, ha predisposto il congelamento dei fondi per gli allievi delle yeshivot imponendo un pilastro: niente fondi senza la leva. La politica si trascina, l’ex capo di stato maggiore Benny Gantz è uscito dal governo anche perché non vedeva la possibilità di trovare una soluzione. Il governo non si muove, non vuole toccare questo principio che sembra votato all’autodistruzione del paese. Alla Knesset si dibatte, dentro al Likud, il partito del premier Benjamin Netanyahu, si litiga: il ministro della Difesa Yoav Gallant e quello dell’Economia Nir Barkat, che è pronto a sfidare Netanyahu per la leadership del partito, credono che l’esenzione di una parte di popolazione non sia più tollerabile, senza la sicurezza non ci saranno né un paese in cui vivere né una Torah da studiare e minacciano la stabilità del governo, non sarebbe il primo a cadere sulla leva.
Il principio di uguaglianza e il principio di sopravvivenza si saldano. Se ci sarà una guerra totale al confine tra Israele e Libano contro Hezbollah, sarà un conflitto devastante, il gruppo libanese ha armi forti, è numeroso. Israele può contrastarlo, ma saranno sempre gli stessi a combattere anche questa guerra.
Fonte: Il Foglio