Pubblichiamo la lettera del generale Mario Mori
Nel giorno del mio 85esimo compleanno ho ricevuto, dalla Procura della Repubblica di Firenze, un avviso di garanzia con invito a comparire per essere interrogato in qualità di indagato per i reati di strage, associazione mafiosa e associazione con finalità di terrorismo internazionale ed eversione dell’ordine democratico perchè “pur avendone l’obbligo giuridico, non impediva, mediante doverose segnalazioni e/o denunce all’autorità giudiziaria, ovvero con l’adozione di autonome iniziative investigative e/o preventive, gli eventi stragisti di cui aveva avuto plurime anticipazioni” poi verificatisi a Firenze, Roma e Milano, nonché il fallito attentato allo stadio Olimpico “sebbene fosse stato informato, dapprima nell’agosto 1992, dal maresciallo Roberto Tempesta, del proposito di cosa nostra, veicolatogli dalla fonte Paolo Bellini, di attentare al patrimonio storico, artistico e monumentale della Nazione e, in particolare, alla torre di Pisa” e, qualche tempo dopo, anche dal pentito Angelo Siino “durante il colloquio investigativo intercorso a Carinola il 25 giugno 1993, il quale gli aveva espressamente comunicato che vi sarebbero stati attentati al Nord”.
Dopo una violenta persecuzione giudiziaria – portata avanti con la complicità di certa informazione e durata ben 22 anni – che mi ha visto imputato in ben tre processi, nei quali sono stato sempre assolto, credevo di poter trascorrere in tranquillità quel poco che resta della mia vita.
Ma devo constatare che, evidentemente, certi inquirenti continuano a proporre altri teoremi, non paghi di 5 pronunce assolutorie e nemmeno della recente sentenza della Suprema Corte che, nell’aprile scorso, ha sconfessato radicalmente le loro tesi definendole interpretazioni storiografiche. Per questo motivo, quei giudici della Cassazione sono stati duramente criticati dal consesso dei lottatori antimafia nella totale indifferenza del CSM che, dinnanzi a questi violenti e volgari attacchi, tace a fronte di questo disegno che ha come unico obiettivo quello di farmi morire sotto processo.
Si tratta, com’è agevole a tutti comprendere, di accuse surreali e risibili se tutto ciò non fosse finalizzato alla gogna morale che sarò costretto a subire ancora per chissà quanti anni.
Basti pensare alla circostanza che, a Palermo, mi hanno processato per 11 anni, con l’accusa di aver “trattato” con la mafia e siglato un accordo con Bernardo Provenzano per far cessare le stragi. La sentenza di condanna, in primo grado a 12 anni, poi spazzata via da quella di appello e di Cassazione, affermava che avrei “ “esortato” e, quindi, sollecitato i vertici mafiosi a comunicare le condizioni per ritornare alla situazione di pacifica convivenza … … … che si era protratta sino alla conferma delle condanne all’esito del “maxi processo”, e, dunque, per non commettere più stragi”.
La sentenza di appello, nell’assolvermi, ha riconosciuto che la mia condotta “ebbe come finalità precipua ed anzi esclusiva quella di scongiurare il rischio di nuove stragi” e che avevo “effettivamente come obbiettivo quello di porre un argine all’escalation in atto della violenza mafiosa che rendeva più che concreto e attuale il pericolo di nuove stragi e attentati, con il conseguente corredo di danni in termini di distruzioni, sovvertimento dell’ordine e della sicurezza pubblica e soprattutto vite umane”. Per i giudici di Palermo fui mosso esclusivamente “da fini solidaristici (la salvaguardia dell’incolumità della collettività nazionale) e di tutela di un interesse generale – e fondamentale – dello Stato”.
Oggi vengo indagato per non aver impedito le stragi, quindi con una virata di 360 gradi rispetto al precedente teorema.
Peraltro, le vicende di cui mi si accusa sono già state ampiamente analizzate nel corso degli ultimi 25 anni dalle magistrature competenti (compresa quella fiorentina) e nei processi in cui sono stato coinvolto, senza che mi sia stato contestato alcunché, tantomeno i gravissimi reati ora ipotizzati dalla Procura di Firenze.
Sono profondamente disgustato da tali accuse che offendono, prima ancora della mia persona, i magistrati seri con cui ho proficuamente lavorato nel corso della mia carriera nel contrasto al terrorismo e alla mafia, su tutti Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Forse non mi si perdona di non aver fatto la loro tragica fine.
Avendo constatato che il circo mediatico si è già messo in moto, precedendo con qualche giorno d’anticipo tale comunicazione giudiziaria, ed essendo fin troppo banale presagire che l’aggressione mediatica e giudiziaria proseguirà con ancor maggiore virulenza, mi sembra doveroso che sia io, e non altri, a informare le Istituzioni e l’opinione pubblica.
Dopo di che affronterò e supererò anche questa ennesima angheria.
L’atto istruttorio è stato fissato per il prossimo 23 maggio ma verosimilmente verrà rinviato poiché il mio difensore ha comunicato alla Procura di Firenze di non poter essere presente per concomitanti impegni professionali a Palermo.