di Emanuele Rossi*
Chi ha provato difendere le posizioni espresse nel libro di Vannacci (“Il mondo al contrario”), ha fatto ricorso, nientemeno, che alla Costituzione, ed in particolare all’art. 21, per il quale ogni persona ha il diritto di esprimere liberamente il proprio pensiero. Come se quell’articolo, dettato nel 1948 dalla volontà di restituire agli italiani la libertà che il fascismo aveva conculcato, costituisse ora un ombrello protettivo per coloro che intendano negare i principi democratici sanciti grazie alla Liberazione.
Per fare un po’ di chiarezza, può essere opportuno prendere le mosse da una affermazione della Corte Costituzionale: “Tutti i diritti fondamentali tutelati dalla Costituzione si trovano in rapporto di integrazione reciproca e non è possibile pertanto individuare uno di essi che abbia prevalenza assoluta sugli altri”. E ciò basterebbe a ribattere a quanti hanno sostenuto che la libertà di manifestazione del pensiero garantita dalla Costituzione non può essere limitata. Anche quella libertà, come tutte le altre, può e deve essere sottoposta a limiti, quando questi sono posti a difesa di altri diritti o interessi costituzionali.
Venendo al caso specifico, occorre rimarcare una distinzione basilare e quasi elementare. Una cosa è esprimere opinioni in ambito ”privato” (tra parenti e amici, ad esempio) ed altro è farlo in ambito pubblico. Io posso pensare e anche confidare ai miei parenti che una tale persona è un delinquente, mentre altra cosa è se lo scrivo sul giornale o lo dico in televisione. Per le dichiarazioni pubbliche (come è la pubblicazione di un libro) bisogna tener conto di una serie di limiti. In primo luogo che l’affermazione che ivi si compia non può violare l’onore e la reputazione di altre persone: se così fosse, non si tratterebbe di un diritto ma di un reato. In secondo luogo, e proseguendo sul caso del generale, occorre che la manifestazione del pensiero tenga conto del ruolo che la persona ricopre. Non tutti possono dire tutto: ad esempio, una persona può essere libera di dire che la terra è piatta, ma se quella persona è un insegnante di geografia astronomica in una scuola pubblica questo crea qualche problema in più.
In particolare, il generale in questione è un cittadino “cui sono affidate funzioni pubbliche” e per il quale, secondo l’art. 54 della Costituzione, vale il dovere di prestarle “con disciplina e onore”, giurando fedeltà alla Repubblica ed essendo sottomesso al dovere di osservare la Costituzione. E la Costituzione non si osserva rivendicando, come ha fatto il generale, “il diritto all’odio e al disprezzo e a poterli manifestare liberamente nei toni e nelle maniere dovute” (per non dire del resto). Ma vi è un ulteriore principio costituzionale che va considerato. L’art. 52 stabilisce che “l’ordinamento delle Forze armate è informato allo spirito democratico della Repubblica”: e ciò vale non soltanto per le Forze armate nel loro complesso, ma anche per i suoi componenti.
E informarsi allo spirito democratico non significa soltanto rispettare le istituzioni democratiche, ma anche difendere i principi alla base della Repubblica: il principio per cui tutte le persone sono uguali (senza distinzione di condizioni personali, ad esempio), quello secondo cui le minoranze vanno tutelate e non penalizzate, il rifiuto di ogni forma di violenza, il rispetto della pari dignità di ogni persona, e così via. In un “mondo alla dritta” (e non al contrario) le cose funzionano così, per fortuna.
*Professore ordinario di diritto costituzionale alla Scuola Sant’Anna di Pisa
Fonte: Gazzetta di Modena, 24 agosto 2023
Foto: Scuola Sant’Anna di Pisa