di Cecilia Sala
Il capo dell’intelligence militare ucraina, Kyrylo Budanov (nella foto), ha conquistato il potere e la libertà di manovra per compiere operazioni audaci fuori dai confini quindici mesi fa: quando è stato il primo a dire con certezza che la Russia avrebbe invaso l’Ucraina dando inizio a una guerra totale. All’epoca Volodymyr Zelensky chiedeva agli americani di smetterla con “l’allarmismo” sull’invasione ed era preoccupato per l’inflazione in aumento e per gli investimenti stranieri in fuga dal suo paese. Anche il generale Oleksandr Syrskyi, il comandante delle Forze di terra, la mente dietro la prima controffensiva riuscita a settembre e dietro la strategia di usare la battaglia di Bakhmut per logorare l’esercito nemico in vista del prossimo contrattacco, all’inizio del 2022 non credeva che Putin avrebbe dato l’ordine di invadere tutto il suo paese. Budanov aveva informazioni migliori, il 23 febbraio 2022 disse due cose precise: passeranno i nostri confini alle quattro di domani e le truppe speciali di Mosca atterreranno in elicottero all’aeroporto di Hostomel, poi da lì punteranno ai palazzi della democrazia nel centro. Non c’è neanche un errore ed è quello che succede poche ore dopo. Il piano iniziale dei russi non era conquistare chilometro quadrato per chilometro quadrato il territorio dell’Ucraina ma decapitare il governo, far cadere Kyiv e di conseguenza prendersi tutto il paese senza combattere.
Budanov la sera del 23 febbraio chiama sua moglie e alcuni dei suoi uomini e chiede di raggiungerlo. Sono tutti nella grande sala del suo ufficio, ordinano McDonald’s e mangiano hamburger e patatine fritte con i fucili appoggiati tra gli stivali mentre studiano il modo di tenere lontani i russi dai palazzi del centro. Poco dopo le quattro i carri armati russi varcano i confini da nord, da est e da sud, Volodymyr Zelensky è al telefono con le cancellerie occidentali mentre gli uomini delle squadre speciali convocate da Budanov vanno ad appostarsi all’aeroporto. Gli ucraini acquattati tra i cespugli hanno falciato quasi tutti gli incursori: l’operazione Hostomel si è trasformata in un suicidio per i russi. Dalla difesa di una capitale dipende la difesa di un paese, non sappiamo come sarebbero andate le cose senza l’azione di Budanov, ma sappiamo che, con quella, Kyiv è ancora libera. Zelensky era l’uomo che i paracadutisti russi avevano l’ordine di uccidere, Syrsky era il generale che aveva il compito di organizzare la difesa della capitale ma, il 24 febbraio, a protezione di Kyiv erano schierate solo due brigate. Budanov ha salvato la vita al primo e la faccia al secondo. Oggi Budanov è molto credibile quando nelle riunioni del gabinetto di guerra dice come la pensa su cosa sia opportuno fare per sconfiggere Vladimir Putin.
La “dottrina Budanov” prevede, per vincere, le operazioni in Russia. L’attacco di due giorni fa nella regione di Belgorod è l’ultimo di una lunga serie di operazioni militari ambiziose che avvengono sul territorio della Federazione russa ma sono state pensate a Kyiv. Nel momento in cui oltre il confine entrava in funzione l’allarme della contraerea e tra i cittadini montava il panico, l’intelligence militare ucraina – il Gur – commentava gli eventi in corso in tempo reale come se si trattasse di un proprio raid. Il portavoce diceva: “Liberare quei territori dal regime di Putin serve a spingere più indietro il nemico” e ammetteva di avere un filo di comunicazione diretta con gli autori dell’attacco. Dopotutto erano uomini della legione di oppositori russi che combattono la guerra al fianco di Kyiv e che quando si muovono sul territorio ucraino rispondono al Gur.
Ex militari e analisti ucraini con cui il Foglio ha parlato sono convinti che portare scompiglio nella Crimea occupata e nel territorio di Mosca sia molto efficace perché con un costo ridotto, nessun rischio per i civili ucraini e con azioni piccole si infligge un danno enorme a Putin. Un danno materiale perché se i droni ucraini che trasportano esplosivo varcano spesso i cieli russi, Mosca è costretta a usare la contraerea a casa propria e non può spostarne troppa al fronte, e perché se ci sono delle incursioni armate a Belgorod, al Cremlino conviene usare un po’ di soldati per proteggere le proprie aree di confine e quegli uomini vengono sottratti, di nuovo, al fronte. Poi c’è un danno psicologico per Mosca e un vantaggio potenziale per Kyiv perché, se Putin puntava alla guerra lunga, se anche la Russia è sotto attacco allora la guerra lunga gli conviene meno. All’opinione pubblica russa può interessare relativamente ciò che accade agli ucraini in Ucraina, ma se l’allarme antiaereo suona vicino alle loro case, se l’aeroporto di San Pietroburgo viene chiuso per la presenza di velivoli nemici nei cieli, se due droni esplodono sul Cremlino: se ne accorge.
Seguendo il ragionamento: se Putin pensa che massacrare gli ucraini sia a costo zero, non smetterà mai, quindi farlo deve avere un prezzo. Se deve scegliere cosa proteggere, se percepisce in pericolo le cose importanti come la Russia o la Crimea, dirotterà più risorse a tutela di casa propria e ne impiegherà meno per distruggere quelle degli ucraini. Budanov ha rilasciato una serie di rivendicazioni ambigue in concomitanza di quasi tutti gli attacchi avvenuti sul suolo russo e in Crimea. In un’intervista della fine di aprile dice: “Immagina se un razzo cadesse sul Cremlino”. Non dice a Mosca, non dice in Russia, ma sul Cremlino. Dieci giorni dopo due droni esplodono sul Cremlino. I documenti segreti sottratti al Pentagono da un ventunenne della Guardia nazionale degli Stati Uniti e poi pubblicati dalla stampa hanno rivelato che Washington aveva fatto pressione su Budanov e lui aveva accettato di rimandare – non di annullare – un attacco a Mosca. Gli stessi documenti, che contengono intercettazioni di Zelensky, dicono che il presidente ha appoggiato la “dottrina Budanov” degli attacchi oltre confine (ma non sappiamo quali e quanti). Quando Budanov è stato condannato in contumacia da un tribunale di Mosca per l’esplosione sul ponte di Kerch che collega la penisola occupata alla Russia, avvenuta a poche ore dal compleanno di Putin, ha reagito così: “E’ un piacere, lavorerò ancora più duramente per dimostrare al tribunale di Mosca che ha ragione”.
Budanov ha commentato la sequenza di bombe che hanno ammazzato o ferito propagandisti e sostenitori del genocidio ucraino in Russia, da Daria Dugina al blogger Vladen Tatarsky fino allo scrittore Zakhar Prilepin, dicendo: “Abbiamo ucciso e continueremo a uccidere russi ovunque nel mondo”. Il 4 gennaio, il giorno del suo compleanno, il capo del Gur si è mangiato una torta fatta a forma di Russia. Sulla scrivania nel suo ufficio ci sono molti libri, e in bella vista ce n’è uno con la copertina blu di Ze’ev Jabotinsky. Jabotinsky è nato a Odessa, in Ucraina, ed è uno dei fondatori dello stato ebraico, ha creato i gruppi armati che hanno combattuto con metodi violenti e audaci i britannici che governavano il Protettorato di Palestina per ottenere l’indipendenza e un proprio stato. Il “sionismo pratico” di quelle milizie ebraiche aveva l’ambizione di scrollarsi di dosso l’immagine internazionale di un gruppo di deboli perseguitati. L’idea condivisa dai gruppi paramilitari era che gli ebrei dovessero far risuonare un messaggio nuovo nel mondo: non vogliamo essere vittime in eterno e non viviamo più nel terrore, d’ora in poi dovete temerci. Gli attacchi mirati a casa dei nemici di Budanov imitano quelli più famosi del Mossad, l’intelligence israeliana, e dei suoi antenati: dalla caccia internazionale ai nazisti a quella ai terroristi in anni più recenti. La dottrina degli attacchi in Russia di Budanov sembra sintetizzabile così: le buone con Putin non hanno mai funzionato, non deve più vederci come vittime inermi ma considerarci pericolosi, forti: proviamo a fermare il bullismo sanguinario con la deterrenza brutale.
Fonte: Il Foglio
Foto: Yevhenly Shynkar (VOA)