di Gianluca De Feo
“L’ Africa è la direzione a cui guardiamo da tempo con maggiore attenzione.” Il ministro della Difesa Lorenzo Guerini discute i risultati del vertice Nato e le minacce alla nostra sicurezza che gravitano sulle coste del Mediterraneo.
“Il Mediterraneo ha sempre rappresentato uno snodo nevralgico di flussi economici, commerciali e sociali. E questo lo rende, inevitabilmente, un’area complessa, meta di pulsioni geopolitiche e di mire egemoniche di alcuni attori internazionali e, nello stesso tempo, crocevia di instabilità. Oggi nel Mediterraneo si riverberano gli echi dell’aggressione russa all’Ucraina, ma anche la fragilità dell’area medio-orientale, le difficoltà di alcune regioni del Nord Africa e, soprattutto, del Sahel. Da tutte queste situazioni si possono originare minacce dirette alla nostra sicurezza. Lo vediamo con quello che sta accadendo in queste ore in Libia”. Il ministro della Difesa Lorenzo Guerini è appena rientrato dal vertice Nato di Madrid, che ha incluso l’attenzione al “Fronte Sud” nella nuova visione strategica.
In concreto, in cosa si tradurrà l’attenzione della Nato per il “Fronte Sud”? Finora il potenziamento del dispositivo militare sembra concentrato sui Paesi dell’Est…
“Il giusto potenziamento del dispositivo di deterrenza e difesa sul fianco Est è strettamente connesso alla situazione attuale. Ciò che l’Italia ha chiesto e ottenuto, grazie anche al supporto di altri alleati – Spagna, Francia e Grecia, in primis – è che la Nato non perda di vista le minacce che possono giungere anche da altre direzioni, tra cui il Sud, e mantenga quindi piena flessibilità di monitoraggio e intervento a 360 gradi. Come ho detto a Madrid, non è questione di scegliere tra Est e Sud, perché la sicurezza euro-atlantica è indivisibile”.
Il Mediterraneo è il cuore del nostro interesse nazionale, come sottolinea il Documento strategico che lei ha appena varato. Perché?
“Stiamo parlando di un mare che rappresenta la rotta più vantaggiosa tra l’Oceano Atlantico e l’Indo-Pacifico, con un punto di obbligato passaggio nello Stretto di Sicilia, su cui transita circa il 20 per cento del traffico commerciale marittimo mondiale e sui cui fondali giacciono le “dorsali di comunicazione” subacquee che connettono tra loro Europa, Asia e Africa. Per il nostro Paese il Mediterraneo è fondamentale per l’economia nazionale e, quindi, per il benessere e la prosperità delle nostre imprese e dei nostri cittadini”.
Nel Documento Strategico vengono presentate le linee guida per fronteggiare le crisi del Mediterraneo. Quali sono le situazioni più pericolose?
“L’Africa è la direzione a cui guardiamo da tempo con maggiore attenzione. L’intricata e persistente condizione della Libia; la fragilità di alcuni Stati dell’area sub-sahariana; la presenza di gruppi terroristici; la postura aggressiva, anche militare, di alcuni attori internazionali; i venti di guerra nel Corno d’Africa; il mai sopito problema della pirateria. Senza dimenticare anche i rischi originati dalla presenza di grandi organizzazioni criminali e dalle emergenze alimentari come quella derivante dalla guerra, che possono generare fenomeni migratori ben più consistenti di come li abbiamo fino ad ora conosciuti. Tutto ciò ci obbliga ad agire, innanzitutto come Europa, non solo attraverso interventi di natura militare ma anche con gli strumenti della diplomazia e, soprattutto, del sostegno allo sviluppo. Perché senza sviluppo non potrà mai esserci vera sicurezza”.
In vista dell’invasione dell’Ucraina, la Russia ha schierato nel Mediterraneo una flotta di potenza mai vista prima. È preoccupato?
“In questo momento, il Mediterraneo è uno dei mari maggiormente vigilati: l’Operazione “Sea Guardian” e le Standing Naval Forces della Nato, l’Operazione “Irini” dell’Ue, le varie operazioni nazionali (per il nostro Paese, la “Mare Sicuro” e le attività di vigilanza pesca) e le attività addestrative su base bi-multilaterale ci assicurano la giusta valutazione della situazione, quella che viene chiamata “Situational Awareness”. La presenza navale russa, sia di superficie che sottomarina, certamente significativa e talvolta dall’atteggiamento aggressivo, non ci preoccupa, proprio perché è costantemente monitorata e ogni sua mossa giustamente valutata”.
Sul fronte del contrasto al terrorismo jihadista, è stata annunciata la fine della missione Takuba nel Sahel: un’operazione europea a guida francese, che vedeva coinvolto anche un nostro contingente. Adesso cosa succederà? Non rischiamo un nuovo Afghanistan?
“La mia posizione sulla conclusione della missione in Afghanistan è nota, perché la espressi nei consessi internazionali a cui apparteniamo. Dopodiché una volta assunta insieme una decisione la si sostiene come abbiamo fatto, anche per salvaguardare la coesione dell’Alleanza Atlantica in quel momento così difficile. La situazione nel Sahel è diversa. La fine di Takuba, infatti, non deve essere intesa come una volontà di disimpegno dalla regione. Takuba è una delle molteplici iniziative poste in essere a supporto dei paesi africani di quell’area contro la minaccia terroristica. Potrei elencare, infatti, l’operazione “Barkahne”, che si sta proprio in queste settimane riorganizzando nel Sahel, la missione europea Eutm Mali, il G5 Sahel e le varie iniziative svolte su base bilaterale. Come la nostra missione Misin in Niger, che sta crescendo in termini di uomini, assetti ed infrastrutture. Quindi, la fine di Takuba non significa l’abbandono del Sahel, ma segna un momento di ripensamento della nostra presenza, al fine di poter offrire un sostegno più efficace. Per l’Italia facendo leva sulla nostra base in Niger, hub strategico nazionale per l’intera regione”.
Nel Documento strategico si pone l’accento su due fattori chiave: la capacità di intelligence e quella di deterrenza esercitata dalle forze armate. Lei ritiene che il nostro Paese abbia strumenti adeguati?
“Le sfide con cui ci confrontiamo richiedono di aggiornare costantemente le nostre risposte, ma credo di poter affermare che il nostro Paese ha strumenti di intelligence, sia quella militare che quella delle agenzie di informazione, la cui eccellenza ci è riconosciuta da alleati e partner. Il nostro sistema informativo e di sicurezza, per la sua inclinazione a mantenere reti informative e per la sua indubbia capacità di analisi e predittiva, è efficace ed apprezzato. A questo vorrei aggiungere l’alto livello di professionalità delle nostre forze armate, che si è qualificato con decenni di operazioni dal Libano all’Afghanistan, dall’Africa al Baltico. Quando si dimostra di sapere fare e di avere la volontà di farlo, avendo a disposizione gli strumenti giusti, quella è la forma di deterrenza più efficace. E l’immagine della nostra portaerei Cavour, in navigazione nel Mediterraneo di fianco alla francese de Gaulle e alla statunitense Truman ne è un chiaro segnale”.
Tutti i governi occidentali stanno rispondendo all’invasione dell’Ucraina con piani di potenziamento della Difesa. Cosa ritiene debba fare l’Italia?
“L’Italia sta già facendo, perché la necessità di ammodernare e rafforzare il nostro strumento militare non è un’esigenza che nasce con il conflitto russo-ucraino. A giorni, presenterò al Parlamento il Documento Programmatico Pluriennale 2022-2024, in cui sono contenuti i programmi d’investimento delle forze armate, quelli di nuovo avvio e quelli già operanti. Si potrà vedere come prosegue con gradualità l’ammodernamento in tutti i domini operativi, per avere uno strumento militare sempre più in grado di rispondere alle missioni che gli sono affidate: la difesa dello Stato, la difesa degli spazi euro-atlantici ed euro-mediterranei e il contributo alla pace e alla sicurezza internazionale”.
Il potenziamento delle forze americane in Europa e della forza di rapido intervento della Nato non rischia di ostacolare i piani per la nascente Difesa Europea?
“Al contrario, ritengo che il potenziamento della postura dell’Alleanza sia, per l’Unione Europea, un ulteriore sprone a non ritardare l’attuazione di quanto deciso con l’approvazione, lo scorso marzo, del documento ‘Bussola Strategica’. La piena complementarietà tra Nato e Ue è cosa ormai condivisa e metabolizzata; la nascente Difesa europea non potrà che rafforzare il pilastro continentale della Nato. Un’Unione Europea più forte anche sotto il profilo militare rende più forte anche la Nato.
Il contributo italiano alla resistenza ucraina è coperto dal segreto. Lei giudica che i nostri aiuti siano stati significativi nel sostenere il governo di Kiev? Ritiene che l’attuale situazione renda necessario un nuovo decreto per aumentare le forniture belliche?
“Ritengo che l’Italia abbia fatto e stia continuando a fare quanto deve, in linea con il suo ruolo internazionale e con quanto stanno facendo i nostri alleati e partner. Mi sento spesso con il mio omologo ucraino, che non perde occasione per ringraziarmi degli aiuti che abbiamo fornito. E continueremo a sostenerli, in linea con le decisioni parlamentari e in piena condivisione delle conclusioni degli appuntamenti internazionali dei giorni scorsi in cui abbiamo insieme condiviso con determinazione che continueremo a sostenere l’Ucraina fin quando sarà necessario. Perché questo, come ha anche ricordato il presidente Draghi, è l’unico modo per arrivare al negoziato. Altrimenti Putin non si fermerà”.
Le nostre forze armate hanno dato un contributo rilevante a tutte le operazioni di pace degli ultimi 25 anni. Se si arrivasse a un accordo in Ucraina, siamo pronti a intervenire?
“Non vedo altre possibilità che un intervento sotto l’egida dell’Onu. La decisione spetterà, ovviamente, al Parlamento. Quello che posso dire è che le nostre forze armate sono pronte ad assolvere i loro compiti, nel pieno dettato costituzionale”.
Se dovesse fare una previsione, quando finirà la guerra in Ucraina?
“Le variabili che intervengono in questo conflitto sono tante, quello che possiamo ipotizzare però è che, tenuto conto dell’attuale andamento dei combattimenti e della situazione di sostanziale stallo, si avvalora sempre più l’analisi che siamo già avviati verso una ‘guerra di attrito’. Per questo, è assolutamente importante continuare a supportare gli ucraini, al fine di porli nelle condizioni di poter resistere: questa è l’unica maniera perché Mosca si convinca che non potrà vincere sul terreno e accetti la via negoziale come unica possibile soluzione”.
Fonte: la Repubblica, 3 luglio 2022