La guerra ha confermato che la Nato rimane una garanzia di sicurezza internazionale, ma la difesa europea esce dal suo lungo letargo, scrive Le Point

“L’Europa della difesa avanza e non è finita qui!”, afferma Thierry Breton, commissario europeo incaricato del Fondo europeo per la difesa. Prima ancora della guerra in Ucraina, l’aumento dei pericoli geopolitici attorno all’Ue ha imposto l’idea che l’Unione europea dovesse diventare a sua volta un attore strategico, anche se la Nato resta la sua migliore garanzia di sicurezza. L’adozione, lo scorso 21 marzo, del primo Libro bianco della difesa europea (ribattezzato dai ventisette “bussola strategica”) ha segnato un passo in avanti: per la prima volta, gli europei hanno definito assieme le capacità militari necessarie per rispondere alle minacce identificate. Thierry Breton vuole battere il ferro finché è caldo: per rimpinguare gli arsenali degli europei, spogliati dalle forniture d’armi all’Ucraina, ha proposto di acquistare in comune le armi e le munizioni, come è accaduto per i vaccini europei. La Commissione è pronta a stanziare cinquecento milioni di euro per questo dispositivo di difesa comune.

E’ l’inizio di una “preferenza europea” sull’industria bellica che prefigura, spera Breton, una politica permanente su vasta scala che il commissario proporrà alla fine dell’anno. “Il Consiglio ci ha incaricato di farlo” ha dichiarato soddisfatto. Il termine di difesa europea si presta alla confusione: non si tratta solamente delle cose militari in senso stretto, come le missioni che l’Unione europea mette in piedi per formare alcuni eserciti in Africa o la missione Atlante contro la pirateria marittima al largo delle coste somale. Si tratta, in realtà, di tutte le missioni che la Nato “non può e non vuole compiere”, precisa all’ex commissario europeo Michel Barnier, che ha lavorato a lungo su questo tema. Fra queste missioni la cybersicurezza, la lotta contro la disinformazione, la prevenzione al terrorismo, la risposta alle minacce ibride come la strumentalizzazione dei flussi migratori da parte delle potenze vicine all’Ue, la messa in sicurezza delle infrastutture di comunicazione, lo scambio di informazioni tra intelligence…E dunque, anche la capacità di mandare delle truppe in teatri di guerra per operazioni al di fuori dei confini dell’Unione europea, lì dove la Nato non è pertinente.

Nonostante la guerra in Ucraina, i progressi sono favoriti dalla tentazione isolazionista degli americani. L’Europa capisce poco a poco che deve essere in grado di agire senza la Nato, o più precisamente in complementarietà con la Nato. La base istituzionale è stata posta nel trattato di Lisbona del 2008, che stipula nel suo articolo 42-7 che qualora uno stato membro“subisca una aggressione armata nel suo territorio, gli altri stati membri sono tenuti a prestargli aiuto e assistenza con tutti i mezzi in loro possesso”. Questa clausola di solidarietà è stata attivata per la prima volta la Francois Holland (presidente della Repubblica francese dal 2012 al 2017,ndr) in seguito agli attentati terroristici del 13 novembre 2015. Dei soldati europei sono andati a sostituire alcuni soldati francesi nel Sahel, per permettere a questi ultimi di tornare in Francia al fine di rafforzare l’operazione Sentinelle. Per beneficiare della protezione dell’articolo 42-7, i danesi, lo scorso 1° giugno hanno aderito alla Politica europea di difesa e di sicurezza attraverso un referendum ampiamente approvato al 66,90 per cento. L’invasione dell’Ucraina da parte della Russia ha accelerato la presa di coscienza e persino la prudente Germania ha fatto cadere i suoi tabù.

Quest’ultima ha accettato di consegnare delle armi pesanti a un paese in guerra, in questo caso l’Ucrain, e ha creato un fondo di cento miliardi di euro per modernizzare il suo esercito. Tanto che, per la prima volta dal 1945, le spese militari della Germania supereranno quelle della Francia. Anche l’Unione europea ha contribuito allo sforzo bellico. Gli stati membri che forniscono le armi a Kyiv ne ottengono il rimborso presso la Commissione europea, nel limite di una dotazione portata a due miliardi di euro (…). La sfida è quella di coordinare nel migliore dei modi le spese nazionali. “In Europa abbiamo diciasette tipi di carri armati da combattimento, mentre gli americani ne hanno uno; venti tipi di aerei da combattimento diversi, mentre gli americani ne hanno sei”, ha deplorato a Parigi, all’inizio del 2022, Florence Parly, allora ministra della Difesa. Assicurarsi che gli investimenti in materia militare a livello nazionale concorrano a rendere gli europei più idonei ad agire: ecco la posta in gioco degli attuali sforzi bellici per costruire una difesa europea. (Traduzione di Mauro Zanon)

Fonte: Il Foglio con fonte Le Point

 

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