di Federico Punzi
In una infuocata audizione fiume al Senato Usa, incalzati dai senatori Repubblicani, ieri i vertici militari hanno di fatto scaricato il presidente Joe Biden, contraddicendo platealmente la versione della Casa Bianca su almeno due questioni chiave e quindi addossandogli interamente la responsabilità delle scelte che hanno portato al disastroso ritiro dall’Afghanistan.
Il capo dello Stato maggiore congiunto Mark Milley (nella foto) e il comandante del CentCom Kenneth McKenzie hanno affermato di aver raccomandato al presidente la permanenza in Afghanistan di 2.500-3.500 soldati e di averlo avvertito che il ritiro completo e incondizionato avrebbe provocato il collasso dell’esercito afghano e, alla fine, del governo di Kabul. Ma senza successo: come noto, Biden ha deciso di ritirare l’intero contingente e abbandonare la base di Bagram (prigionieri compresi) prim’ancora di aver cominciato ad evacuare il personale civile, americano e afghano. Una mossa azzardata che ha messo la sicurezza dei soldati e dei civili impegnati nelle operazioni di evacuazione all’aeroporto di Kabul completamente nelle mani dei Talebani e della Rete Haqqani — cioè nelle mani di terroristi.
Biden e i funzionari della Casa Bianca avevano affermato ripetutamente che nessun leader militare aveva suggerito di lasciare un piccolo contingente nel Paese e il presidente stesso, in una intervista alla Abc, ha negato di aver mai ricevuto suggerimenti in questo senso: «No, they didn’t»», ha scandito. Adesso però durante le audizioni al Senato è stato smentito dal suo stesso segretario alla Difesa, Lloyd Austin, che ha dovuto ammettere che in realtà «il loro contributo è stato ricevuto e considerato sicuramente dal presidente».
Il generale Milley ha spiegato che l‘intelligence aveva sì previsto la disgregazione dell’esercito afghano dopo il ritiro Usa, ma che «non è riuscita a capire» quanto rapida sarebbe stata e quindi a prevedere che Kabul sarebbe caduta in così poco tempo nelle mani dei Talebani. Ma anche un’altra narrazione che la Casa Bianca ha cercato di vendere nelle scorse settimane all’opinione pubblica interna e internazionale, con l’aiuto dei soliti media compiacenti (anche qui in Italia) è stata contraddetta ieri al Senato dai generali Milley e McKenzie. La narrazione secondo cui al-Qaeda sarebbe stata ormai sconfitta, la sua presenza in Afghanistan debellata, il ritorno dei Talebani al potere non significa il ritorno anche di al-Qaeda, perché sono cambiati, non sono più quelli di una volta, ora sono pragmatici e ci si pub fidare di loro, persino come partner nella guerra al terrorismo, essendo l’Isis un «nemico comune».
Ebbene, adesso, questa narrazione è stata fatta a pezzi dai generali Usa che avevano in parte contribuito ad accreditarla. Al contrario, infatti, «al-Qaeda è ancora in Afghanistan», ha ammesso Milley. Se non si pub parlare di «ritorno» è perché in realtà non se n’era mai andata. Se non altro, perché non è possibile tracciare una netta linea di demarcazione tra Talebani, Rete Haqqani e al-Qaeda, come ieri ha spiegato lo stesso Milley: «Dobbiamo ricordare che i Talebani erano e rimangono un’organizzazione terroristica e non hanno ancora rotto i legami con al-Qaeda». I Talebani, ha aggiunto, hanno violato ognuna delle sette condizioni poste dall’accordo con gli Usa, tranne quella di non attaccare le truppe americane — sempre che non ci siano loro o la Rete Haqqani, come supponiamo, dietro l’attentato costato la vita a 13 marines e circa 200 civili afghani.
Altro che sconfitta, al-Qaeda è a tal punto viva e vegeta che esiste una possibilità molto concreta, secondo il capo di Stato maggiore congiunto Usa, che nei prossimi 12-36 mesi sia nelle condizioni di attaccare nuovamente l’America e gli interessi americani. Insomma, il presidente Biden era stato avvertito dai suoi comandanti che i Talebani avrebbero preso il sopravvento se tutte le truppe fossero state ritirate incondizionatamente, ma ha ignorato le loro valutazioni e ha mentito, negando persino di averle ricevute.
Non che i vertici militari ne siano usciti bene. Hanno fallito nel prendere seriamente i segnali e gli avvertimenti del repentino collasso delle forze armate e delle istituzioni afghane e nel pianificare le necessarie contromisure. Ieri hanno difeso l’operazione di evacuazione, definendola un «successo logistico», ma non hanno potuto negare che il ritiro è stato un «fallimento strategico». «La nostra credibilità è stata danneggiata dal ritiro dall’Afghanistan», ha riconosciuto Milley. Quella di Biden ne esce a pezzi…(da Atlantico Quotidiano)
Fonte: Italia Oggi