Perché nulla riesce a scalfire il racconto prevalente del conflitto israelo-palestinese in cui c’è solo (e da sempre) un unico cattivo

di Paola Peduzzi

Questa volta è diverso; è sempre la stessa storia. Le analisi e i commenti dello scontro in corso tra Israele e Hamas (e il suo allargamento) si muovono su questi due filoni, che a volte si sovrappongono e a volte si escludono, e questo è il motivo per cui il conflitto israelo-palestinese non si risolve e la proposta che viene offerta – due popoli, due stati – è una fotografia in bianco e nero di una stagione politica che risale all’inizio degli anni Novanta. Bari Weiss, scrittrice americana che rientra nella categoria dei “controversi” (lasciò il New York Times l’estate scorsa dicendo che il quotidiano è ormai diretto dagli umori di Twitter), ha spiegato questo meccanismo di sovrapposizione ed esclusione in un articolo molto personale e per questo molto sofferto che racconta quanto ne esce male, nella narrazione prevalente, chi combatte per la propria sopravvivenza.

Cosa c’è di diverso questa volta: i razzi sparati da Gaza sono un numero di molto superiore rispetto al passato. Nelle città miste arabo israeliane (circa il 20% dei cittadini d’Israele non è ebreo) ci sono scontri violenti. Gli Accordi di Abramo tra Israele e alcuni paesi arabi hanno frustrato i leader palestinesi che promuovono come unica arma politica la lotta contro Israele.

Ci stiamo avvicinando a “sempre la stessa storia”, o a quella che Bari Weiss definisce “The Narrative”. La narrazione prevalente si muove così: la violenza di Hamas è giustificata, “il suo risentimento è legittimo”; la reazione di Israele è “sproporzionata” e quindi illegale e immorale. Quanto al primo punto, la narrazione dice: se Israele si ritirasse nei confini del ’67, se abbandonasse i settlement, se dividesse Gerusalemme e via dicendo, Hamas smetterebbe di lanciare razzi.

Ma non è così. Nella sua costituzione Hamas ha scritto il suo obiettivo: la distruzione dello stato d’Israele, via dalla mappa, perché lo stato ebraico ha usurpato la terra musulmana e così i musulmani hanno “il dovere” di distruggerlo. Quanto alla “sproporzione”: è evidente che le forze israeliane sono più potenti di quelle di Hamas e più devastanti, ma la proporzione in guerra non vuol dire equivalenza, significa evitare azioni che possono causare morti civili e che siano eccessive rispetto all’obiettivo militare che si vuole raggiungere. Quando Israele si difende dagli attacchi di Hamas, secondo la legge di guerra, ha anche il diritto di distruggere Hamas come forza militare: non lo fa, perché il costo umano di un’operazione del genere sarebbe enorme.

Ritchie Torres, deputato democratico di New York (33 anni, nero, gay del Bronx: non esattamente un esponente dell’establishment), dice: “Con la sovranità e la sicurezza viene anche il diritto di difendersi, un diritto che ogni stato dà per scontato. Perché Israele dovrebbe essere un’eccezione alla regola?”. Torres dice anche un’altra cosa: “in questo momento anche la verità è sotto assedio: sui social media circola una bugia feroce secondo la quale il terrorismo di Hamas è legittima difesa e la legittima difesa di Israele é terrorismo”.

I social hanno amplificato The Narrative. Matti Friedman, scrittore e giornalista scrive: “Nello spirito del 2021, le clip sono pubblicate senza contesto e vengono immesse nel sistema circolatorio dell’ideologia per provare tutto quel che deve essere provato”. La solita storia sul conflitto israelo-palestinese ora mette insieme i pregiudizi dell’élite con il fervore dell’attivismo con la passione per le proteste. E’ tutto un unico flusso, in cui non serve cercare di capire la disputa territoriale a Sheikh Jarrah (nella foto) nè la politica dei settlement d’Israele nè perché le elezioni palestinesi siano state sospese dagli stessi palestinesi nè perché, pur essendo in gioco la sopravvivenza di due popoli, nessuno abbia avuto l’interesse di costruire una nuova generazione di leader in grado di scardinare “la solita storia”.

Fonte: Il Foglio

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