I talebani hanno mandato un messaggio ai leader della Nato in cui sottolineano che la presenza delle forze armate straniere in Afghanistan non favorisce l’alleanza e non giova alla popolazione afghana.

Il messaggio è stato reso noto il 15 febbraio dal quotidiano Tolo News, che riferisce che i militanti islamisti afghani hanno avvertito i Paesi membri della Nato della rilevanza delle loro future decisioni. Il mantenimento della presenza militare straniera in Afghanistan renderà l’alleanza responsabile di futuri incidenti.

I ministri della Difesa della Nato si incontreranno il 17 e 18 febbraio per decidere proprio di un possibile ritiro delle truppe entro maggio, come previsto dall’accordo tra USA e talebani, firmato a Doha il 29 febbraio 2020. Sulla base di tale intesa, i militanti afghani hanno affermato di aver rinunciato alla cosiddetta “offensiva di primavera” e di non aver effettuato attacchi contro i centri delle grandi città, in quella che il gruppo ha definito una “riduzione della violenza”. “Il nostro messaggio per la prossima riunione ministeriale della Nato è che la continuazione dell’occupazione e della guerra non è né nel vostro interesse né nell’interesse del vostro e del nostro popolo”, hanno dichiarato i talebani.

Dall’altra parte, Mohammad Amin Ahmadi, un negoziatore della Repubblica afghana, ha affermato che un eventuale ritiro delle truppe straniere dal Paese, in assenza di un accordo di pace, porterebbe a una guerra civile. Allo stesso tempo, i colloqui preliminari ai negoziati di pace intra-afghani a Doha sono stati interrotti negli ultimi 28 giorni e nessuno dei gruppi di lavoro ha tenuto incontri, mantenendo uno stallo totale nelle trattative per la distensione nel Paese. In tale contesto, il 28 gennaio il Pentagono ha annunciato che non effettuerà un ritiro completo delle truppe dal Paese entro maggio 2021, a causa del mancato rispetto dei termini dell’intesa. In risposta, i militanti afghani hanno accusato Washington di violazioni dei diritti umani.

La nuova amministrazione statunitense, guidata dal presidente Joe Biden, in carica dal 20 gennaio, deve quindi gestire questa delicata situazione. Lo stesso 20 gennaio, il nuovo segretario di Stato, Antony Blinken, aveva dichiarato che l’accordo con i talebani sarebbe stato riesaminato, prima di prendere decisioni riguardo alla posizione della Casa Bianca sulla permanenza delle proprie truppe sul territorio afghano. Il 31 gennaio, un rappresentante dei talebani aveva affermato che il gruppo militante islamista continuerà a “difendere il Paese”, se le forze armate straniere rimarranno in Afghanistan dopo maggio 2021.

L’Afghanistan sta affrontando un momento particolarmente critico, a causa dell’aumento delle violenze sul campo, nonostante siano in corso i negoziati con i talebani, in Qatar. Il Paese subisce fortemente le divisioni derivanti dalla sua complessa storia. A seguito della fine del dominio dell’Unione Sovietica in Afghanistan, durato dal 1979 al 1989, i talebani avevano guadagnato il controllo di gran parte del Paese, intorno al 1998, ottenuto in seguito a una sanguinosa guerra civile combattuta contro varie fazioni locali. Nel 2001, in seguito agli attentati dell’11 settembre, gli Stati Uniti hanno invaso l’Afghanistan, accusato di essere la base logistica dalla quale al-Qaeda aveva pianificato gli attacchi contro gli USA e dove si era a lungo nascosto il leader dell’organizzazione, Osama bin Laden, sotto la protezione dei talebani.

Dopo 19 anni di guerra, si è verificato un atteso sviluppo diplomatico, rappresentato dall’accordo USA-talebani di Doha, firmato il 29 febbraio 2020. Tuttavia, già durante i negoziati per finalizzare tale intesa, le violenze sul campo in Afghanistan sono cominciate ad aumentare, fino a diventare assalti quotidiani ad opera dei talebani, ma anche di altre organizzazioni tra cui lo Stato Islamico della Provincia del Khorasan. Gli Stati Uniti avevano chiesto di rispettare almeno 2 settimane di cessate il fuoco, con scarsi risultati. In ogni caso, l’accordo era stato sottoscritto, anche per via della pressione esercitata dall’ex presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, che aveva promesso più volte di mettere fine alle “guerre infinite” combattute dagli USA all’estero.

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