di Massimo Recalcati

Non aspettavamo altro. Negli ultimi giorni di questo anno terribile le prime dosi di vaccino saranno distribuite in tutta Europa. Finalmente si può vedere un po’ di luce in fondo al tunnel. Nondimeno, farsi iniettare nel proprio corpo una sostanza estranea, seppure incaricata di difenderlo dal male, non è affatto scontato che sia vissuto da tutti come un beneficio. E non solo per problematiche ideologiche come è accaduto nel nostro Paese con i cosiddetti No-vax. E nemmeno per una valutazione razionale sugli eventuali effetti collaterali che il vaccino potrebbe, anche se in percentuali minime, determinare.

Esiste una componente psicologica “irrazionale” nel rifiuto a farsi vaccinare che non bisogna sottovalutare. Non è molto diversa dall’angoscia che rende impossibile viaggiare in aereo o frequentare luoghi affollati, sottoporsi ad una anestesia o attraversare in auto un lungo tunnel. Il comune denominatore di tutte queste situazioni apparentemente così eterogenee è l’inevitabile perdita di controllo che in modo più o meno accentuato il soggetto è costretto a sperimentare. Se l’aereo precipitasse nel vuoto o il tunnel crollasse improvvisamente o diventasse teatro di un incidente che intrappolerebbe tutti i viaggiatori non lasciando loro vie di fuga?

In tutte queste situazioni e in molte altre ancora che lo psicoanalista ascolta quotidianamente nella sua pratica l’angoscia sorge dal sentimento di non poter governare la situazione nella quale ci si trova inclusi forzatamente. Una quota di questa angoscia se non diviene paralizzante — se non mi impedisce di sopportare viaggi in aereo necessari per il mio lavoro o operazioni chirurgiche altrettanto necessarie alla mia salute — è normale perché rivela la nostra costituzione vulnerabile, ovvero dipendente dalle azioni degli altri — il pilota dell’aereo, il medico — ai quali ci dobbiamo affidare.

È la stessa angoscia che spinge molti esseri umani a preferire l’isolamento alla vita di relazione essendo quest’ultima un fattore di perturbazione inevitabile del nostro equilibrio. Non a caso è del disagio che scaturisce dal rapporto con altri esseri umani che i pazienti di ogni sesso, razza e ceto sociale, parlano più insistentemente: sul luogo di lavoro, in famiglia, nelle relazioni affettive più profonde la presenza dell’altro se per un verso viene giudicata essenziale per la nostra vita, per un altro verso viene sperimentata come fonte perpetua di disagio. L’assunzione del vaccino è una necessità sanitaria oggettiva che potrà debellare il virus, salvare vite umane e consentire la ripresa della nostra vita collettiva. Per questa ragione bisogna essere pronti alle numerose obiezioni che traggono la loro linfa da questa angoscia di non controllo.

Come favorire l’adesione alla campagna di vaccinazione? Indubbiamente, oltre alle ovvie e decisive argomentazioni strettamente sanitarie, si tratta di sostenere culturalmente che la vita umana non può essere una monade chiusa su se stessa, ma è fatta per stare insieme. E che la condizione dello stare insieme è, in questa congiuntura drammatica, quella della vaccinazione.

Si vince collettivamente l’angoscia di non controllo potenziando la fiducia verso l’altro e mostrando che la scienza è un partner affidabile. Questa affidabilità esigerebbe innanzitutto una comunicazione pubblica non improvvisata e incoerente come, bisogna purtroppo dire, è accaduto sino ad oggi. Ma, soprattutto, che vi siano gesti etici capaci di testimoniarla concretamente. Da parte degli scienziati innanzitutto, ma anche dei nostri rappresentanti politici. Che siano loro i primi testimoni dell’importanza della vaccinazione come possibilità di liberazione dal male e non come chissà quale rischio di contaminazione.

Mostrare che il vaccino è un partner affidabile aiuterebbe a ridurre l’angoscia per la sua assunzione. È un ennesimo esempio di quanto la libertà individuale senza iscrizione in una comunità solidale sia una pura astrazione.

L’ho scritto più volte sulla pagine di questo giornale: una delle lezioni più significative impartite dal magistero tremendo del Covid consiste nell’averci mostrato che la salvezza o è collettiva o è impossibile e che, di conseguenza, o la libertà viene vissuta come solidarietà o resta una dichiarazione solo retorica.

Fonte: la Repubblica, 27 dicembre 2020

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