di Marta Serafini
«I turchi a Vienna? Potrebbe capitare di nuovo». Utilizza un’iperbole ma va dritto al punto il primo ministro armeno Nikol Pashinyan, mentre il cessate il fuoco con l’Azerbaigian, tentato grazie alla mediazione di Mosca, scricchiola rumorosamente. Ex giornalista e volto carismatico dell’opposizione, nominato premier due anni fa dopo le proteste di piazza, Pashinyan è appena rientrato dal fronte, dove ha fatto visita ai soldati. Dal 27 settembre ad oggi i combattimenti al confine tra l’Armenia e l’Azerbaigian non si sono mai fermati, con reciproche accuse e con le sirene anti aeree che hanno continuato a suonare sopra il cielo di Stepanakert, città principale del Nagorno-Karabakh. Poi una tregua fragilissima, siglata una settimana fa, che però non ha fermato le bombe e i droni su entrambi i fronti, né ha messo a tacere la retorica di guerra. Ieri l’annuncio di un nuovo cessate il fuoco umanitario.
Oltre 660 le vittime dal lato armeno tra civili e militari, 60 quelle civili dal lato azero. Baku vi accusa di aver nuovamente colpito Ganja, voi accusate gli azeri di bombardare Stepanakert e i villaggi vicini. Entrambi parlate di crimini contro l’umanità. Dove sta la verità? «La Turchia porta avanti nel Caucaso meridionale la stessa strategia adottata nel Mediterraneo contro la Grecia e Cipro, o in Libia, o in Siria, o in Iraq. È una politica espansionistica. Durante i negoziati sul cessate il fuoco, il presidente turco Erdogan ha dichiarato di non volere che l’Azerbaigian interrompesse i combattimenti. Questo conflitto non sarebbe iniziato senza l’intervento della Turchia. È stata la Turchia a incoraggiare l’Azerbaigian ad attaccare l’Artsakh (così gli armeni chiamano l’auto proclamata repubblica del Nagorno-Karabakh, ndr). Le truppe turche stanno partecipando agli attacchi. Ma non solo. Gli azeri stanno impiegando miliziani jihadisti, mercenari fatti arrivare dalla Siria. Sono terroristi, mandati dai turchi».
Avete le prove dell’impiego di questi miliziani? «Sì, abbiamo i filmati di propaganda jihadista con la geo-localizzazione nel teatro dei combattimenti. E i corpi di alcuni di loro. Non c’è alcun dubbio. Un software speciale ci ha permesso di analizzare i filmati video e individuare i luoghi in cui sono state scattate quelle immagini. È ormai un fatto consolidato che sono stati portati in prima linea durante le ostilità. Gli stessi terroristi siriani hanno girato quei video che successivamente sono trapelati e hanno inondato il web. Questa è una prova inattaccabile, che è stata ufficialmente riconosciuta da Russia, Francia e altri Paesi. Mi chiedo e chiedo alla comunità internazionale: che tipo di tregua possiamo siglare noi con questi terroristi? Ed è chiaro l’obiettivo: i turchi vogliono un altro genocidio del popolo armeno, ecco perché mandano i miliziani siriani. Ci hanno sterminato una volta, lo rifaranno di nuovo, se glielo permettiamo. Noi stiamo subendo un attacco, ci dobbiamo difendere come ogni nazione minacciata di sterminio».
Quali passi dovrebbe intraprendere l’Unione europea per fermare il conflitto? «C’è solo un modo per mettere fine alle ostilità ed è quello del riconoscimento internazionale del principio di “secessione riparatrice” dell’Artsakh. Non c’è altra possibilità. Altrimenti gli armeni subiranno la pulizia etnica nelle aree controllate dall’Azerbaigian e questo perché gli armeni sono l’ultima barriera nella corsa dei turchi verso Nord, Est e Sud».
In Italia un gruppo di intellettuali, sportivi ed esponenti politici ha firmato una dichiarazione di solidarietà all’Armenia. È sufficiente? «Solo pochi giornalisti stranieri sono venuti a vedere coi loro occhi, ma non abbiamo visto rappresentanti di missioni diplomatiche estere. Quello che mi aspetto dall’Italia è che riconosca come la Turchia abbia trasportato mercenari e truppe in Azerbaigian. Ma non solo. La popolazione del Nagorno-Karabakh è vittima di una grave crisi umanitaria di cui la comunità internazionale e l’Italia dovrebbero tener conto. Perché se gli azeri torneranno nella regione, c’è da starne certi: nessun armeno sopravviverà».
Fonte: Corriere della Sera
Foto: Frans Geffels, Il sollievo di Vienna