di Carmelo Abisso
“Il 7 ottobre 2001 gli Stati Uniti attaccarono l’Emirato Islamico dell’Afghanistan, allora recente creazione del movimento dei talebani che avevano ospitato e protetto il gruppo estremista al-Qa’ida e il suo capo Osama bin Laden, responsabili dell’attacco contro le Twin Towers. Oggi, la guerra sta per concludersi. Le speranze di costruire un paese stabile, democratico, capace di integrarsi nell’economia globale sono tramontate da tempo. Gli Stati Uniti e i loro alleati della Nato non soltanto non sono riusciti a piegare la resistenza dei talebani e a produrre ordine e sicurezza in Afghanistan, ma hanno perso buona parte della loro credibilità militare e politica”. Intorno a questa critica sinossi si è svolta la presentazione del libro “Missione fallita – La sconfitta dell’Occidente in Afghanistan” di Gastone Breccia, editrice Il Mulino, organizzata l’8 ottobre presso la caserma Cialdini di Bologna dal Centro di studi storico-militari “Gen.Gino Bernardini” in collaborazione con il Comando Militare Esercito Emilia Romagna.
E’ stata la prima presentazione nazionale del volume, uscito il 21 febbraio in libreria e “congelato” dal lockdown. Si è svolta nel pieno rispetto delle norme per il contenimento del Covid-19 ed è stata introdotta e moderata dal generale Antonio Li Gobbi, presidente del Centro studi, con l’autore del libro presente in sala insieme al generale Giorgio Battisti, primo comandante del contingente militare italiano in Afghanistan e Gianandrea Gaiani, direttore di Analisi Difesa. Sono intervenuti il comandante militare regionale, colonnello Fabrizio Ghiretti, il giornalista Lorenzo Bianchi, già inviato di guerra del Quotidiano Nazionale-Il Resto del Carlino e circa cinquanta ospiti tra i quali cinque studenti appartenti a Casus Belli-Arma Mater Studiorum, circolo di studi storici militari dell’Università di Bologna, un gruppo che si impegna nell’analizzare la Storia Militare, in grado di fornire una maggiore comprensione delle società umane nel tempo.
Non si può soccombere nei confronti di chi non è disposto a morire
“Sono rimasto colpito – ha esordito Gaiani – dall’incontro nel maggio 2011 con Gastone Breccia nella Fob (Forward operating base) “Tobruk” di Bala Baluk, provincia di Farah, in Afghanistan. Un professore sul campo alla ricerca di fonti dai paracadutisti del 187° reggimento Folgore impegnati in controinsurrezione. Breccia ha fotografato nel libro una situazione avviata dal 2003. La potenza militare più grande, gli Stati Uniti, abbinata al minimo storico di impegni ai fini bellici. Disposti a chiamare la guerra con nomi diversi, a patto che non ci siano caduti. L’Occidente ha perso la capacità di sostenere militarmente la guerra. La tecnologia diventa uno strumento non per vincere ma per risparmiare le truppe. Abbiamo combattuto una guerra cercando di avere in cambio il minimo, con l’incapacità della coalizione occidentale di spiegare perchè. Aspetto importante: tutti i presidenti degli Stati Uniti al secondo mandato giocano la carta del “riportare a casa i nostri soldati” in vista delle elezioni. Lo ha fatto Obama, lo sta facendo Trump.
Si poteva fare di più, l’Occidente ha tradito gli afghani ?
“Sono arrivato in Aghanistan il 15 dicembre 2001 – ha detto Battisti – a Kabul, una città senza luci. Ho visto l’evoluzione del Paese. Nel 2002 si poteva circolare da soli a Kabul. Gli afghani sono un popolo orgoglioso, i guerrieri più temibili dell’Asia centrale, con una cultura evoluta. Loro si sentono traditi. Sono arrivati tanti soldi, senza controlli, senza sapere dove finissero, a quale “signore della guerra” andassero. La corruzione è molto alta. Le strade costruite senza criteri si stanno rovinando. I soldi non sono mai andati a chi ne aveva bisogno, come gli aiuti. L’Esercito afghano in questi giorni ha mille morti al mese. La controinsurrezione con la mentalità occidentale non ha funzionato. Non dobbiamo pensare che i soldati afghani si comportano come vogliamo noi, anche se combattono una guerra civile contro i talebani. Adesso andiamo via senza terminare il lavoro. Potevamo avere successo nel 2003 e nel 2011 col “surge” (trentamila soldati Usa in più), se fossero rimasti avrebbero potuto vincere la guerra. Abbiamo perso queste due occasioni. Poi, dopo il 2009, Isaf diventa solo a comando Usa, con forti diffidenze verso alcuni paesi europei che non uscivano dalle basi. La Nato è il capro espiatorio del fallimento in Afghanistan. C’è un detto che dice Nato sta per Not action talks only.
I condizionamenti ai soldati in Afghanistan
“In Afghanistan c’erano 51 contingenti di Nazioni diverse con 87 caveat – ricorda Gaiani – Combattere con regole d’ingaggio diverse è difficile. L’Italia ha fatto del suo meglio con i mezzi che aveva, con le regole d’ingaggio che gestiva, tenendo conto che non c’era un grande supporto politico. Vincere le guerre ha un costo economico, politico e militare. La Nato ha perso la guerra in Afghanistan perchè i vantaggi nel vincere non sono paragonabili alle risorse impiegate. E’ difficile lavorare insieme se per qualcuno è guerra e per qualcun’altro è una operazione di pace. Negli anni del surge occupavamo le basi allargando il controllo del territorio. Nel 2011 col ritiro sono state demolite, galvanizzando i talebani, facendo sentire i soldati afghani dei reietti, demotivando i comandanti, creando un contesto, quello di oggi, figlio di operazioni iniziate dieci anni fa con il ritiro voluto da Obama.
Gli obiettivi degli Stati Uniti non erano chiari
Ci sono tre questioni fondamentali – interviene Breccia – La prima, la long war e gli obiettivi Usa. All’inizio, nel 2001, con la proxy war (guerra per procura) i talebani vengono spazzati via. Nel dicembre 2001 cosa si fa con l’Afghanistan liberato ? Da quel momento è iniziata una strana guerra, non c’è stata chiarezza, ne strategica, ne politica, è iniziata una situazione confusa. Due missioni diverse (Isaf e Enduring Freedom) con obiettivi diversi. Se non c’è volonta politica di pagare un prezzo, le guerre non si possono che perdere.
La seconda, gli Italiani in Afghanistan. Ho visto i soldati italiani comportarsi con estrema professionalità: sparare quando occorreva, ma anche fare le shure con i capi villaggio togliedosi gli occhiali. Operare in maniera efficace nei limiti di una missione non adeguata alle necessità. L’Esercito del 2020 è stato forgiato in Afghanistan, ne esce a testa alta.
La terza, l’addio a Kabul. Il dramma morale: se non si accetta di morire in guerra, le guerre non si possono fare. Le proxy war non sono accettabili: non si può far morire gli altri per i nostri interessi, si rischia di non raggiungere i propri obiettivi. Le guerre per procura sono il vero dramma di questo inizio millennio. L’illusione delle perdite zero è una trappola. Se gestisci un conflitto con troppa attenzione verso i tuoi soldati non lo vincerai mai.
Gastone Breccia, professore di Storia bizantina e Storia militare antica nell’Università di Pavia, è autore di numerosi testi storico-militari e geopolitici.
Giorgio Battisti, generale di corpo d’armata (aus), per ben quattro volte impiegato in Afghanistan, tra il 2001 e il 2013, in qualità sia di comandante del contingente italiano sia di massima autorità militare nazionale in teatro, è autore del libro “Storia militare dell’Afghanistan” (Mursia, 2015).
Gianandrea Gaiani, direttore di Analisi Difesa, commentatore geo-politico per Tgcom 24 e collaboratore di varie testate giornalistiche nazionali ed estere, è autore, tra l’altro, del libro “Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane” (Studio LT2, 2007).
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