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Il trionfalismo liberale ci ha lasciati deboli e impreparati ad affrontare un nuovo scontro di civiltà

Avere creduto nel trionfo automatico dell’ordine mondiale liberale non ha solamente lasciato l’occidente impreparato a combattere una lunga e snervante battaglia di civiltà. Lo ha anche indebolito”, scrive il politologo Andrew A. Michta (nella foto) sull’American Interest: “Sono passati trent’anni dalla fine della Guerra fredda, quasi venti dall’attentato dell’11 settembre contro gli Stati Uniti, dodici dall’invasione russa della Georgia e sei dall’annessione della Crimea. In quest’arco di tempo abbiamo assistito a cambiamenti notevoli nella distribuzione del potere in Europa, Eurasia, nell’Indo-pacifico e nel resto del mondo.

Gli Stati Uniti e gli alleati della Nato si stanno avviando verso un’èra di competizione con i grandi poteri, ovvero Russia e Cina, che tentano di sostituire il dominio americano nello scacchiere internazionale. Un nuovo bipolarismo sta venendo fuori dal caos dei decenni che hanno succeduto la Guerra fredda. Vivremo in un mondo in cui la polarizzazione ideologica e culturale tra est e ovest – piuttosto che gli equilibri militari ed economici – saranno la causa principale delle tensioni. Questo bipolarismo sistemico si mostrerà ancora più potente dello scontro in atto durante la Guerra fredda.

Le cause del conflitto sono essenzialmente ideologiche. Ci sono due visioni mutualmente esclusive su come organizzare la società: da un lato una democrazia liberale sempre più disaggregata e dall’altro il comunismo commerciale di stampo cinese. Washington (e in una certa misura anche l’Europa) iniziano a comprendere la minaccia posta dalla Cina e dalla Russia, ma il dibattito sulla competizione globale resta incentrato sull’economia e i temi militari. Ciò che manca è una chiara articolazione dei fini – di quello che potrebbe essere il risultato del conflitto e della visione proposta dai nostri avversari. A differenza della Guerra fredda, la maggior parte dell’analisi oggi ignora le ragioni culturali ed ideologiche dello scontro in atto.

Non siamo in grado di identificare i valori da difendere nello scontro con la Cina. Un collega ha detto che le azioni della Russia vengono paragonate a una tempesta imminente mentre la minaccia cinese assomiglia più al cambiamento climatico nella misura in cui Pechino è potenzialmente in grado di sconvolgere le fondamenta dell’ordine globale. Gli avversari ci vedono in modo diverso da come noi vediamo noi stessi. E soprattutto noi li vediamo in modo diverso da come vedono loro stessi. Abbiamo commesso un grande errore assumendo che la modernizzazione economica avrebbe aumentato la partecipazione politica creando una cultura globale universale di stampo ‘quasi occidentale’. La teoria di fondo di questa visione del mondo è che le istituzioni sono più potenti della cultura. Le affermazioni coraggiose dei liberali dopo la fine della Guerra fredda – che la Storia era stata conquistata dall’economia e dalle istituzioni e che la cultura di conseguenza si sarebbe adattata – ricordano le certezze ideologiche dei rivoluzionari marxisti del Ventesimo secolo che pensavano di avere compreso i meccanismi nascosti del progresso umano.

L’occidente ha tentato di importare le proprie istituzioni in Afghanistan e in medio oriente ma il fallimento in questi casi è stata una distrazione costosa ma non letale. La nostra certezza nel trionfo inevitabile del liberismo ha avuto un costo maggiore nella gestione dei rapporti con la Cina, e in una certa misura anche con la Russia. Dalla fine della Guerra fredda la Cina ha beneficiato dall’accesso illimitato alla tecnologia e ricerca americana mentre la Russia ha sfruttato la nostra preoccupazione con il controterrorismo per riconquistare la sua sfera di influenza nei territori limitrofi. Fino a poco tempo fa queste strategie non erano mai state messe in discussione perché si pensava di avere capito l’andamento della Storia. Ma quest’ideologia non è stata solamente dannosa dal punto di vista strategico. Ha anche fornito una serie di illusioni che ci hanno danneggiato in modo molto più profondo.

La ‘globalizzazione’ ha giustificato il trasferimento di conoscenze e tecnologia alla Cina per fare quadrare i conti. Nel frattempo l’avidità e la ricerca ossessiva dei profitti è stata mascherata come un’ideologia rispettabile. Oggi stiamo pagando il prezzo di queste grandi illusioni. La deindustrializzazione dell’America che ha distrutto i rapporti sociali è l’esempio più evidente di questa crisi. L’unità dell’occidente è messa a dura prova anche perché le nostre élite non sentono il bisogno di difendere l’eredità e il futuro della cultura occidentale, specialmente oggi che vengono minacciate dai nostri avversari. La competizione globale deve rispondere alla domanda fondamentale ‘perché?’. La scorsa generazione non avrebbe avuto problemi a farlo.

La Cina e la Russia sono in grado di competere contro l’occidente perché credono nella loro storicità – qualcosa che all’Europa manca da decenni e che gli Stati Uniti hanno perso all’inizio del secolo. La Russia di Putin vede la conquista territoriale in Eurasia come una compensazione – una vendetta dell’impero ‘rubato’ dall’occidente. Il fervore ideologico della Cina è un correttivo mirato a raddrizzare la sua traiettoria storica. I comunisti di Pechino si propongono come i ‘salvatori del popolo’ e offrono ai cittadini una redenzione nazionale di cui le élite post moderne dell’occidente non oserebbero parlare.

La nostra fiducia nell’occidente – ovvero nel potere della tecnologia di rendere uniformi non solo le economie ma anche l’orgoglio, la cultura e l’interesse nazionale – diventa sempre più priva di significato. Nel frattempo la promessa dei comunisti cinesi continua a prendere piede. La resilienza delle società occidentali non va data per scontato. Dinanzi al revisionismo rabbioso della Russia e l’imperialismo economico, militare e culturale della Cina, gli Stati Uniti e l’Europa riusciranno a trovare un terreno comune per unirsi ancora una volta a difesa dei valori che sosteniamo? Nei prossimi anni dobbiamo mettere da parte l’ideologia del dopo Guerra fredda e ancorare le nostre scelte politiche ai valori culturali che rendono l’occidente diverso dai suoi avversari”.

Fonte: Il Foglio con fonte American Interest

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