Auschwitz è indicibile. Vasilij Grossman, raccontando l’esperienza del campo di concentramento nel romanzo L’inferno di Treblinka, ha scritto: `Nel suo inferno Dante non le vide scene come queste”. Ha ragione il presidente del Parlamento europeo, David Sassoli (nella foto) “ad Auschwitz si è incarnata la negazione stessa della nostra civiltà. La civiltà che ha origini ebraiche e cristiane, che ha incontrato il mondo islamico, che ha conquistato l’Illuminismo e costruito la propria convivenza sul diritto, che si è battuta contro la barbarie e la difesa della dignità umana. Auschwitz, con tutte le fabbriche della morte disseminate nello spazio europeo, rappresenta una questione fondamentale della nostra società, della nostra civiltà, della nostra cultura e ci impone degli obblighi”.
Nel suo discorso in occasione della commemorazione del 75esimo anniversario della liberazione del campo di Auschwitz-Birkenau, Sassoli ha citato il poeta Paul Celan e il giusto Ian Karski, due simboli della Shoah, il primo morto suicida perché era troppo indicibile quanto aveva visto, il secondo morto con la consapevolezza di non aver saputo dire abbastanza per fermare le stragi. Poi ha spiegato con parole inusuali quel mostro uscito dal ventre della cultura europea. “Noi sappiamo che un uomo può leggere Goethe o Rilke la sera, che può suonare Bach e Schubert, e andare a fare la sua giornata di lavoro ad Auschwitz la mattina”, ha detto una volta George Steiner. E’ stata questa la Shoah, l’umanesimo occidentale che non ha impedito gli orrori di Auschwitz.
Per questo ha fatto bene Sassoli a ricordarlo, a ricordarcelo. Perché se oggi l’antisemitismo divampa nuovamente nella civilissima Europa, che si inorgoglisce del proprio umanesimo, della propria tolleranza, delle proprie libertà, questa deve stare attenta. Accadde anche allora, non erano barbari quelli che ordinarono la Shoah, ma illuministi, si credevano eletti, avevano raccolto decine di Nobel, avevano dato il meglio alla cultura europea. Ma la crosta che separa la civiltà dalla barbarie è sottilissima.
Fonte: Il Foglio