Un giornalismo “fatto a mano”, un laboratorio professionale come non se ne vedono più. Dove prendono forma racconti, pensieri, emozioni
di Toni Capuozzo
Guerra Guerra Guerra è un libro molto singolare. E lo è nonostante la pretesa d’essere un libro plurale, scritto a quattro mani. I giornalisti, e gli inviati di guerra in particolare, sono degli individualisti accaniti. Ognuno di loro ritiene, in cuor suo, di essere assolutamente unico e inimitabile. Qui, invece, siamo di fronte a due persone diverse, a due giornalisti di guerra che scelgono di scrivere un libro insieme. Così facendo obbligano il lettore a un gioco divertente, ma anche assai complesso ovvero capire quali dei capitoli, tutti rigorosamente non firmati se non nella copertina, appartengano ora all’uno, ora all’altro dei due autori.
L’operazione è assai difficile perché, oltretutto, i due hanno molto in comune. Il libro consente a chi lo legge di entrare in un mondo e in una dimensione di narrazione che vanno al di là del racconto autobiografico del singolo e avventuroso reporter. A differenza di altri libri del genere, questo assomiglia a una sorta di laboratorio artigianale capace di farti seguire anche la carriera e la storia professionale di due giornalisti entrambi assai singolari. Li considero singolari perché non conosco molti inviati capaci di continuare il mestiere tanto a lungo, soprattutto in una condizione di copertura professionale, assicurativa e sindacale non certo garantita vista la loro eterna condizione di free lance o comunque di giornalisti non assunti.Ma la loro particolarità più importante è quella di frequentare la prima linea con una sola massima, e con nessun altra bandiera, se non la cocciuta pretesa di andare vicino alle cose che avvengono. Be’, già questa pretesa non è qualcosa di comune. Soprattutto nel panorama dello stanziale giornalismo italiano.
Il laboratorio giornalistico raccontato in Guerra Guerra Guerra prende le mosse da un agenzia politicamente scorrettissima che si chiamava Albatross. Ma dietro quel laboratorio ci sono anche il ricordo, la memoria, il rispetto la disciplina morale trasmessa ai due da Almerigo Grilz (nella foto, al centro, con Biloslavo e Micalessin) un socio che è innanzitutto una sorta di fratello maggiore condannato dal destino ad abbandonare Fausto e Gian solo tre anni dopo la nascita dell’agenzia. Almerigo Grilz, ucciso da una palla alla nuca mentre – all’alba del 19 maggio 1987 – filma un attacco di ribelli mozambicani alla città di Villa Fuentes, è il primo giornalista caduto su un campo di battaglia dalla fine della Seconda Guerra Mondiale. Anche in suo ricordo il libro prende le mosse dalla scommessa, molto difficile, di raccontare senza pregiudizi le guerre là dove si combattono.
Nel raccontarle i due autori scelgono molto spesso la parte perdente o quella delle vittime innocenti. Ma lo fanno senza un pacifismo di facciata. Quel che li muove è il rispetto per chiunque combatta lealmente. Insomma, a differenza di tanti libri simili pubblicati negli anni, i racconti di Biloslavo e Micalessin ti portano nel retrobottega dei due personaggi, nel laboratorio in cui prendono forma racconti e pensieri, emozioni e preoccupazioni. I due personaggi – almeno fino a qualche anno fa. una diversità di fondo ce l’avevano. Mentre Biloslavo aveva deciso di metter su famiglia, Micalessin era rimasto, assai a lungo, una sorta di scapolone da prima linea. Una differenza sanata assai recentemente, visto che Micalessin ha di recente trovato moglie. Detto questo, nel loro retrobottega trovi le loro paure, i loro atti di coraggio, i loro affetti, le loro delusioni professionali, le loro solitudini. Sembrerebbe strano parlare di solitudini riferendosi a due persone. Ma i due pur venendo dalla stessa scuola e somigliandosi sotto molti punti di vista raramente lavorano assieme.
Già questo – in un mondo pieno di sgambetti e gelosie – ci fa capire di trovarci di fronte a un giornalismo diverso. Un giornalismo fatto a mano anche se realizzato con l’ultima generazione di telecamera e con i pezzi trasmessi dal satellitare. Eppure, nonostante le trasformazioni tecnologiche intervenute nel corso degli anni, siamo di fronte a un giornalismo, artigianale non ancora schiacciato da una macchina d’informazione sempre più indifferente al valore della testimonianza. Guerra Guerra Guerra è, invece e prima di tutto, un libro di grande testimonianza.
Fonte: Il Giornale, 13 ottobre 2019
Mercoledi 16 ottobre allegato a Il Giornale il libro di Fausto Biloslavo e Gian Micalessin