di Bernard-Henri Lévy
Non c’è stato niente da fare
Né l’indignazione dell’opinione mondiale. Né l’incomprensione dei militari, dei diplomatici, dei rappresentanti democratici e repubblicani americani. Né, in Francia, il presidente Macron, che ha ricevuto, all’Eliseo, qualche ora prima dell’attacco, martedì sera, una delegazione venuta dal Kurdistan siriano alla quale ha ribadito la solidarietà della Francia. Neppure lui, il presidente Macron, ha potuto qualcosa e credo di sapere da tempo che dispiega un’energia considerevole per far ragionare un Trump ignorante, accecato e che, alle critiche provenienti da tutte le parti, ha risposto con questo tweet surreale: «Nostri alleati i curdi? Da quanto ne so, non erano lì, 70 anni fa, sulle spiagge della Normandia!».
L’impensabile è avvenuto
Il presidente turco, Recep Tayyip Erdogan, ha lanciato, mercoledì 9 ottobre, alla fine del pomeriggio, la sua offensiva contro il Kurdistan siriano. Quest’uomo che fu, durante gli anni della guerra contro l’Isis, il «traghettatore capo» di migliaia di jihadisti, che raggiungevano il Califfato via Turchia, quest’uomo i cui servizi segreti si sono adoperati, tre anni fa, durante la battaglia di Kobane, come testimoniano innumerevoli foto satellitari apparse nella stampa turca e internazionale, a far passare armi e rinforzi a destinazione dell’Isis, che tentava di conservare la città, quest’uomo, dunque, comincia a bombardare questi curdi siriani che furono, negli stessi anni, con i Peshmerga del Kurdistan iracheno, i resistenti più determinati allo stesso Isis. E l’ha fatto con il consenso di Donald Trump, che si era preso cura di annunciare, qualche ora prima, che dava il via libera all’operazione, che iniziava il ritiro dei suoi duemila uomini delle forze speciali, ridistribuiti lontano da quel fronte, e che non aveva niente a che fare con questa diatriba fra i democratici curdi e un neosultano, che invece è l’amico, in tutto il mondo, dei Fratelli musulmani.
I loro scudi protettivi
Non ci ricordiamo di aver visto, negli anni recenti, un caso simile di slealtà e di tradimento. Mai le democrazie hanno tradito così senza vergogna quelle e quelli che erano i loro scudi protettivi, le loro sentinelle, i loro rappresentanti, per non dire tappabuchi, sul posto. Mai, tra l’altro, si sono confrontate a casi catastrofici come quello di un membro della Nato, che aggredisce un popolo libero in dispregio di tutti i principi e valori, di cui lui è cofirmatario.
Se il conflitto si allarga
Una questione, diciamolo en passant, per quanto pazza possa sembrare, si pone inevitabilmente, quella di sapere cosa dovrebbero fare, se il conflitto si aggravasse e se i curdi resistessero o si trovassero altri alleati, i Paesi che, come l’Italia, la Francia o altri, sono legati a questa Turchia assassina da un trattato (proprio la Nato) in buona e debita forma. E sono tutte le conquiste della guerra anti-Isis, sono tutti i frutti di questa lunga lotta che americani, europei, curdi di Siria e d’Iraq hanno condotto e vinto insieme, fianco a fianco, che, d’un tratto, vanno oggi in frantumi. L’Europa accetterà il fatto compiuto? Ci renderemo complici dell’abbandono senza precedenti di un popolo amico e in lotta per la nostra libertà? Come reagire alle notizie sempre più inquietanti che ci arrivano da fonti in loco: come questa prigione dove i curdi tenevano prigionieri degli jihadisti pericolosi e che venerdì i turchi hanno bombardato? O un’altra sulla quale i carcerieri curdi hanno dovuto allentare la sorveglianza per andare in prima linea e tenere testa all’aggressione? E siamo alla vigilia di una liberazione forzata, di un’operazione per rimettere in libertà nella natura e disseminare tutti questi combattenti partiti a battersi sotto la bandiera nera, che i curdi avevano neutralizzato ma ai quali i turchi, che ci piaccia o no, stanno rendendo la loro libertà di movimento?
La slealtà senza speranza
C’è una slealtà senza speranza. Nessuno sa, in questa parte del mondo, dove la fedeltà alla parola data, in particolare ai suoi alleati e amici, conta così tanto, cosa varrà ancora la parola americana e, più in generale, occidentale. E sembra proprio che, facendo ai turchi, ai russi, agli iraniani, le cui ambizioni regionali non sono un mistero per nessuno, ai nostalgici del Califfato, sempre in agguato, e ai cinesi questo regalo inaspettato, Donald Trump abbia rovinato, con un azzardo, tutta la strategia americana nella regione. Ci ricordiamo delle parole di Talleyrand a Napoleone al momento dell’assassinio del duca di Enghien: «È stato peggio di un crimine, è stato un errore». Si ha voglia di fronte a queste allucinanti codardie e voltafaccia, di fronte a questa vetta di cinismo e di debolezza, di esclamare: «Peggio ancora di un crimine o di uno sbaglio, si tratta di un suicidio». (Traduzione di Leonardo Martinelli)
Fonte: La Stampa