di Giordano Stabile

All’inizio di settembre Recep Tayyip Erdogan ha annunciato che sarebbe entrato «nel giro di un mese» nel Nord-Est della Siria. Sembrava una spacconata, un bluff, ma il leader turco ha giocato le sue carte senza sbavature. E ha messo Washington con le spalle al muro. Erdogan ha imparato la lezione del 2015, quando l’intervento russo a fianco di Bashar al-Assad ha mandato all’aria i suoi piani in Siria. In un anno ha ribaltato la sua strategia.

Da nemico acerrimo Vladimir Putin è diventato suo alleato. L’idea di rovesciare il raiss siriano è stata accantonata. Erdogan si è concentrato su un altro obiettivo. Annettere il più possibile della Siria settentrionale, da trasformare in un’altra Cipro Nord, a spese dei curdi. Il leader turco ha stretto un patto con Russia e Iran per isolare l’America. In cambio ha chiesto il via libera nella sua «zona d’influenza».

Nel settembre del 2016 si è preso la prima fetta di territorio, Al-Bab, allora in mano all’Isis. Poi ha attaccato il cantone curdo di Afrin e ha sconfitto i guerriglieri delle Ypg. Quella era però una zona nell’orbita russa e il conflitto di interessi meno evidente. Dall’inizio del 2018 in poi Erdogan ha cominciato a martellare la Casa Bianca con la richiesta di mano libera nel Nord-Est. Un proposta imbarazzante perché sono territori strappati dai curdi ai jihadisti al prezzo di 11 mila caduti.

Erdogan ha interpretato in maniera corretta il desiderio di Trump di ritirarsi dalla Siria, così come dall’Afghanistan, in vista delle presidenziali del 2020. Ha ottenuto un primo sì lo scorso dicembre ma l’entourage del leader Usa lo ha stoppato. Finché l’ex segretario alla Difesa James Mattis e il consigliere alla Sicurezza John Bolton sono stati liquidati. Il presidente turco ha nel frattempo risolto con Putin e l’iraniano Hassan Rohani la questione della provincia di Idlib, ultima roccaforte dei ribelli. Sarà spartita a metà fra il regime siriano e la Turchia. A questo punto è passato al «Rojava», il Kurdistan siriano. Ha strappato al nuovo segretario alla Difesa Mark Esper una «fascia di sicurezza». Alla fine ha convinto Trump a lasciarlo fare.

Lancerà nei prossimi giorni l’operazione dal nome orwelliano «Sorgente di Pace» per distruggere le Ypg. Per Aaron Stein, direttore del Middle East Program a Washington, a questo punto c’è poco da fare. «Da anni gli Usa non hanno una politica consona ai loro interessi in Siria – spiega -. Ho parlato con molti funzionari negli ultimi mesi: nonostante conoscessero le intenzioni di Trump hanno elaborato strategie che presupponevano la permanenza delle truppe americane, per sempre. Un errore. Per i curdi la migliore opzione, ora, è un’intesa con Assad». Un punto condiviso anche dall’analista Joshua Landis che teme una «pulizia etnica» da parte dei turchi. È un rischio da non sottovalutare.

Erdogan punta ad annettere 10 mila chilometri quadrati nel Nord-Est della Siria e 15 mila nel Nord-Ovest, in tutto un’area come il Piemonte. Nella zona ci sono minoranze turkmene propense a essere turchizzate. I curdi saranno diluiti dall’arrivo di masse arabo-sunnite riconoscenti al leader turco, come sta già avvenendo nel cantone di Afrin. Erdogan ha annunciato la creazione di città e villaggi dove spostare un milione di rifugiati.

Ha mostrato una mappa con la sua «zona di sicurezza», lunga 350 chilometri e profonda 30, e i nuovi insediamenti. La politica di annessione strisciante alla Turchia marcia già a pieno regime nel Nord-Ovest, dove apriranno tre facoltà dipendenti dall’università di Gaziantep. Per la Russia è un precedente che le fa comodo in Crimea e nell’Est dell’Ucraina. Mentre l’Iran è disposto a far digerire l’amara pillola all’alleato Assad pur di vedere gli americani fuori dalla Siria e dalla Mesopotamia. Se ha bluffato, Erdogan lo ha fatto con parecchi assi in mano.

Fonte: La Stampa

Foto: Insideover

LEAVE A REPLY

Please enter your comment!
Please enter your name here