Diciotto anni fa iniziavano le operazioni americane in Afghanistan. Oggi in un comunicato diffuso sul sito web del cosiddetto “Emirato islamico dell’Afghanistan”, i Talebani chiedono “agli invasori americani” di “porre fine al ricorso inutile alla forza”, di “fare passi concreti per trovare una strada che sia logico seguire per andare avanti”.

A inizio settembre, dopo mesi di contatti tra gli Usa e i Talebani, Donald Trump ha improvvisamente fermato i colloqui. Ma nei giorni scorsi emissari del movimento fondato dal mullah Omar sarebbero tornati a incontrare gli americani, questa volta nella capitale pakistana Islamabad e non in Qatar. Gli incontri della scorsa settimana sarebbero stati i primi dallo stop voluto da Trump, da quello che gli analisti hanno letto come uno “stop and go” più che come un blocco definitivo. Giovedì scorso la delegazione di emissari dei Talebani guidata dal mullah Abdul Ghani Baradar, uno dei fondatori del movimento, ha anche incontrato a Islamabad il capo della diplomazia pakistana. Il ruolo del Pakistan, più volte in passato accusato di fare il doppio gioco, è considerato cruciale.

L’attacco al regime dei Talebani scattava il 7 ottobre del 2001, a meno di un mese dagli attentati dell’11 settembre. L’Afghanistan era accusato di ospitare Osama bin Laden, lo ‘sceicco del terrore’ che è stato poi ucciso – nel vicino Pakistan – nel maggio del 2011. Oggi in Afghanistan restano dispiegati circa 14mila soldati americani, che Trump ha promesso di riportare a casa. La guerra, che entra nel 19esimo anno senza che si intraveda una fine, è la più lunga degli Stati Uniti, che in Afghanistan continuano a versare fiumi di dollari e a piangere caduti.

Nel frattempo nel Paese – in cui le minacce alla sicurezza portano anche il nome dell’Isis e di al-Qaeda – si continua a morire. Secondo la missione Onu (Unama), da gennaio a fine giugno nel Paese sono morti 1.366 civili e altri 2.446 sono rimasti feriti. Intanto gli afghani e la comunità internazionale attendono i risultati delle elezioni presidenziali del 28 settembre, le quarte dalla caduta del regime dei Talebani.

Oggi lo schieramento che sostiene Abdullah Abdullah, il ‘chief executive officer’ e rivale numero uno del presidente uscente Ashraf Ghani, è tornato a sostenere che dal voto sia emerso un chiaro vincitore e che non sarà necessario il ballottaggio. “In base ai nostri calcoli c’è un vincitore e non si andrà al secondo turno”, ha detto Fazal Ahmad Manawi in dichiarazioni riportate da ToloNews. I risultati provvisori sono attesi per il 19 ottobre, mentre bisognerà aspettare almeno fino al 7 novembre per quelli definitivi.

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