L’intervento del generale di corpo d’armata (ris) Antonio Li Gobbi, 8 settembre 2019
“Onorevole ministro, signora sindaca, assessore, comandanti, autorità,
Rivolgo innanzitutto un pensiero deferente ai Caduti di tutte le guerre del passato e delle operazioni militari attualmente in atto.
Anche al nome del presidente nazionale, ambasciatore Alessandro Cortese de Bosis,impossibilitato a partecipare per motivi di salute, saluto le autorità, ma soprattutto saluto i cittadini e le associazioni d’arma che hanno voluto essere presenti oggi in questo luogo, dove nel 1943 è iniziata la Guerra di Liberazione.
Consentitemi di esprimere un pensiero di vicinanza anche alla Comunità Ebraica che troppe volte in Italia subisce ancora atti di antisemitismo, che si vogliono artatamente far passare come forme di condanna della politica dello Stato d’Israele.
Ma venendo a oggi, in questo luogo, il 9 e il 10 settembre del 1943, ufficiali e soldati di tutte le armi dell’Esercito hanno combattuto contro l’invasore.
Una lotta impari senza speranza, ma la cosa importante è che a loro si sono uniti cittadini e cittadine di tutti i ceti sociali e di tutti i credi politici, a dimostrazione che in quella situazione di caos, in quella situazione di perdita di punti di riferimento, le Forze Armate, nonostante la crisi della politica e nonostante tre anni di guerra disastrosa, erano ancora ritenute, da buona parte dei cittadini italiani, le uniche rappresentanti della Nazione e dell’unità nazionale. Magnifico esempio di coesione del Popolo con il suo Esercito.
È stato scritto che l’8 settembre è stata la “morte della Patria”. Non concordo! Non è stata la morte della Patria: è stata la fine di uno Stato, di un’organizzazione statuale, la perdita di credibilità di una intera classe dirigente, sia quella fascista sia quella monarchica. Ma è stato anche e soprattutto l’inizio del riscatto del popolo italiano. Riscatto che ha assunto una molteplicità di forme, in tutte le quali gli uomini con le stellette hanno avuto un ruolo trainante ed essenziale, talvolta, purtroppo, forse volutamente ignorato.
Non starò a citare tutti i numerosi esempi, ma sappiamo che i reparti abbandonati da una politica miope in isole sperdute dell’Egeo o nei Balcani, ovunque hanno resistito o hanno tentato di resistere contro i tedeschi, pur in grave soggezione di forze. E questo lo sappiamo grazie soprattutto all’attenzione che ha rivolto il presidente Ciampi a Cefalonia; ma non c’è stata solo Cefalonia!
640.000 militari italiani internati nei campi di concentramento, quasi all’unanimità, hanno rifiutato, nonostante le sevizie, di aderire alla Repubblica Sociale.
Al Sud, nonostante le cautele e la scarsa fiducia degli Alleati, si è riusciti a mettere insieme “nuove” Forze Armate, che nell’aprile del 1945 contavano in linea ben 500.000 uomini: mezzo milione di soldati! Non solo i Gruppi di Combattimento, ma anche reparti combattenti della Marina, dell’Aeronautica e le Divisioni Ausiliarie. Soldati tutti che sono stati essenziali per consentire l’avanzata Alleata lungo la Penisola.
Ma anche al Nord, dove c’è stata la “guerra partigiana”, gli elementi militari sono stati i primi, molto spesso, a darsi alla guerriglia, e sono stati gli elementi catalizzatori che hanno tentato di dare un’organizzazione e una qualche unitarietà al movimento che stava nascendo spontaneamente ma disordinatamente.
Questo non lo diciamo noi militari! Leggo: “Vi erano soldati che fuggivano verso la montagna guidati dai loro ufficiali. Fuggivano per un’ansia di ribellione, ma con senso di disciplina e organizzazione. E fuggivano recandosi appresso la propria arma”. Non lo ha scritto un militare, lo ha scritto un dirigente politico comunista, Luigi Longo, vice comandante del Corpo Volontari della Libertà e futuro segretario del Partito Comunista Italiano.
A Roma, dove ci troviamo, oltre ai fatti di Porta San Paolo, non possiamo dimenticare il contributo fornito durante il periodo dell’occupazione dal Fronte Militare Clandestino guidato dal colonnello Cordero di Montezemolo. Ricordiamo che dei 335 trucidati alle forze Ardeatine, ben 69 erano uomini con le stellette.
Ma è stato così dappertutto, non sto a citare tutti gli eroi con le stellette della guerra partigiana: da Perotti ai fratelli Di Dio, sarebbe troppo lungo elencarli tutti! Basti pensare che delle Medaglie d’Oro concesse per attività partigiana, 229, quasi tutte alla memoria, sono state concesse a uomini con le stellette.
Dico questo, onorevole ministro, perché Le voglio chiedere di far conoscere agli italiani di oggi, il ruolo che i militari hanno avuto in questa “quinta Guerra di Indipendenza” (perché, come le precedenti, è stata una Guerra di Indipendenza per la liberazione del territorio nazionale dall’invasore, i tedeschi) Riconoscimento che è stato molto timido se non del tutto assente in questi 76 anni. All’inizio del Suo mandato Le vorrei chiedere questo impegno: non per me ma per la verità storica!
Inoltre, è triste vedere che il 25 aprile, a differenza del 4 novembre, non sia una festa che unisce il popolo italiano, ma dopo tre quarti di secolo continui ad essere una festa divisiva. Ed è una festa divisiva perché si è lasciato credere agli italiani che la Resistenza fosse soltanto la lotta tra chi aveva una visione dell’Italia asservita al disegno totalitaristico nazista (disegno bocciato dalla storia già allora) e chi aveva una visione dell’Italia asservita al disegno altrettanto totalitaristico sovietico, che sarebbe stato bocciato dalla storia come fallimentare e dittatoriale solo pochi decenni dopo!
Dobbiamo, invece, ricordare che nelle file della Resistenza c’erano tanti altri: c’erano socialisti repubblicani, cattolici, uomini di chiesa e tanti tantissimi militari, militari di carriera soprattutto, che combattevano per un’Italia libera, un’Italia che rifiutasse sia la cultura del gulag, sia quella dei lager.
Allora, se si riuscirà a valorizzare quella componente della Resistenza che rifiutava sia i lager che i gulag, e si eviterà che l’eredità della Resistenza e di quegli Uomini che lottavano per una Italia libera venga utilizzata per le lotte politiche e partitiche di oggi (in relazione al Referendum Costituzionale per esempio), allora, forse, si potrà ridare credibilità alla Resistenza e fare in modo che il 25 aprile e la Guerra di Liberazione diventino elemento non divisivo ma di unità popolo italiano.
È per realizzare ciò, forse, è necessario partire proprio da qui, da Porta San Paolo, dove nel 1943 ufficiali e soldati di tutte le armi dell’Esercito Italiano, ai quali si unirono cittadini e cittadine di tutti ceti e idee politiche,hanno combattuto una battaglia senza speranza, e per questo motivo ancor più eroica, per la liberazione e per la dignità dell’Italia.
Viva l’Italia, viva la Guerra di Liberazione nella tradizione risorgimentale ”
Foto: Difesa Online