Continuità o cambiamento, non è rilevante chi sarà il ministro della Difesa. Conta il come, ovvero l’interpretazione del ruolo in una stagione che, comunque vada, sarà nuova. Intervento, volutamente alla vigilia della probabile formazione del Conte 2, di Vincenzo Camporini, ex Capo di Stato Maggiore della Difesa e Consigliere scientifico dell’Istituto Affari Internazionali e di Michele Nones, vicepresidente dello Iai
Signor ministro,
scriviamo questa lettera aperta ipotizzando che il prossimo governo abbia un nuovo ministro della Difesa, ma non sappiamo il suo nome e la sua storia: se conosce, anche solo in generale, il mondo della Difesa, speriamo che possa essere un utile pro-memoria su alcune cose da fare; se non lo conosce, speriamo che possano essere utili e disinteressati suggerimenti per affrontare un compito particolarmente difficile.
Ricordi sempre al personale e all’opinione pubblica, compresi i suoi rappresentanti nazionali e locali, che il compito prioritario delle Forze Armate è quello di tutelare la difesa e sicurezza del Paese. È la loro ragione di essere ed è una scelta di vita: diventare e rimanere addestrati come professionisti pronti ad usare la forza e a sacrificarsi per difendere gli interessi nazionali, in patria e nelle missioni internazionali. Una vita fatta di sacrifici personali e familiari che devono essere adeguatamente compensati in termini finanziari, sociali e morali. Le Forze Armate rappresentano la “assicurazione collettiva” contro rischi e minacce al nostro sistema politico e sociale e alla nostra stessa vita. La partecipazione della Difesa alla gestione delle emergenze civili è sempre avvenuta e continuerà ad avvenire quando e per il tempo strettamente necessario per tornare alla normalità. I nostri militari non devono essere utilizzati come sostituti di altri operatori pubblici, diventando i “tappabuchi” delle inefficienze di altre amministrazioni. In questa ottica riconsideri l’attuale eccessivo impegno in attività di sorveglianza del territorio nazionale: abbiamo difronte una minaccia ibrida che, nella normalità, deve poter essere contrastata dalle forze di sicurezza (compresi i Carabinieri).
Non dimentichi che i suoi principali “consiglieri” sono il capo di Stato Maggiore della Difesa per gli aspetti operativi e la preparazione delle Forze Armate, il segretario generale della Difesa/direttore nazionale degli Armamenti per gli aspetti organizzativi, gestionali e di equipaggiamento e il capo di Gabinetto per gli aspetti di sua diretta competenza. Poiché il gabinetto deve supportare il Ministro nel suo ruolo di Autorità “politica” e di interfaccia con gli altri Ministeri e le Istituzioni, scelga i suoi consiglieri e più stretti collaboratori all’esterno della Difesa, evitando gli altrimenti inevitabili problemi di una struttura fortemente gerarchizzata. Il ministro deve risultare autonomo nelle sue decisioni e altrettanto autonomi devono essere quelli che lo circondano. In quest’ottica valuti, inoltre, la possibilità di tentare una piccola, ma significativa “riforma”. Insieme ai suoi colleghi degli Affari Esteri e dell’Interno (gli unici nella stessa situazione) presenti un disegno di legge che elimini le attuali limitazioni nella scelta del capo di Gabinetto: il doverlo scegliere all’interno di precise categorie di dirigenti interni non favorisce l’autonomia del ministro. Quanto alla “competenza” del capo di Gabinetto, sarà interesse del Ministro fare una scelta conseguente, se vuole poter esercitare il suo ruolo. Con questa stessa prospettiva, dia mandato al Capo di Gabinetto di perseguire una riduzione dell’attuale struttura, trasferendo allo Stato Maggiore e al Segretariato Generale tutte le funzioni e le attività non indispensabili e, caso mai, rafforzi quelle che devono supportare direttamente il lavoro del Ministro.
Dia un deciso impulso al superamento della mentalità campanilistica, purtroppo ancora molto diffusa in molte componenti delle Forze Armate. Il “sistema-difesa” può diventare efficace ed efficiente solo se una reale logica interforze diventerà patrimonio comune, evitando le diseconomie generate da duplicazioni che sono spesso l’attuale regola e agendo da moltiplicatore delle forze e delle capacità.
Limiti le sue presenze pubbliche. Le Forze Armate sono un’organizzazione complessa e la loro vita è fatta anche di tradizioni, ma questo non comporta sempre la presenza del ministro. Lo stesso vale per gli incontri internazionali e per le missioni all’estero: faccia selezionare le richieste di essere presente sempre ed ovunque, limitandole a quelle essenziali. Nello stesso tempo presti grande attenzione all’opinione pubblica, aiutandola ad essere consapevolmente e sistematicamente informata, anche attraverso i suoi rappresentati politici e il mondo dell’informazione. Rifugga dalla crescente abitudine di commentare tutto e subito: difesa e sicurezza costituiscono un’area delicatissima in cui la fretta è sempre nemica del bene.
Aiuti il nostro Paese a tornare ad essere considerato un partner europeo e un alleato affidabile. L’impegno ad aumentare la spesa militare è ineludibile e deve vedere l’Italia assumere le conseguenti decisioni, ma prima di tutto imponga un’operazione di trasparenza sui dati relativi alla nostra spesa: non possiamo continuare a fornire dati diversi a livello nazionale e internazionale. Se ne avrà la possibilità, convinca governo e Parlamento che le spese per la difesa devono entrare tutte nel Bilancio del suo Ministero: solo i finanziamenti per lo sviluppo e l’innovazione tecnologica che non siano direttamente ed esclusivamente destinati agli equipaggiamenti militari dovrebbero continuare ad essere erogati dal ministero dello Sviluppo economico. Per quanto riguarda i nuovi programmi di sviluppo e produzione, indichi chiaramente che la nostra soluzione preferenziale è quella della collaborazione europea, a condizione che vengano riconosciute le nostre aree di eccellenza tecnologica e industriale. Chieda ai vertici militari di attenersi a questa linea, anche nell’evoluzione dei programmi già messi in cantiere. Al fine di valorizzare la nostra presenza nelle istituzioni europee, chieda, inoltre, di candidare sempre i nostri migliori esperti: se non siamo adeguatamente presenti, è più difficile influenzare le discussioni e le decisioni. Faccia entrare l’Italia nella European Intervention Initiative, lanciata lo scorso anno dalla Francia per migliorare il coordinamento fra i partner europei nella pianificazione e preparazione militare. Pur con tutte le giuste perplessità del caso, vale anche qui la regola che gli assenti hanno sempre torto (non a caso vi ha aderito persino il Regno Unito, oltre ai paesi europei più impegnati nelle missioni internazionali). Infine, considerando l’ormai prossima Brexit, faccia rapidamente verificare se ci sono ulteriori misure normative che possiamo adottare a livello nazionale per salvaguardare la nostra fondamentale collaborazione con il Regno Unito nel campo della difesa, con particolare attenzione agli aspetti tecnologici e industriali. In quest’ottica non ritardi ulteriormente l’adesione italiana al programma inglese Tempest per sviluppare un sistema aereo da combattimento di sesta generazione. La scelta condivisa dell’Aeronautica e dell’industria, sulla base di un’approfondita analisi delle possibili opzioni, evidenzia che questa è la strada da seguire a tutela dei nostri interessi nazionali.
Infine, faccia in modo che l’Italia possa essere considerata un partner affidabile nei programmi di collaborazione internazionale volti a sviluppare e produrre nuovi equipaggiamenti militari. In questi ultimi anni abbiamo fatto sorgere troppi dubbi sulla nostra volontà e capacità di rispettare gli impegni presi. Sul velivolo da combattimento F-35, sul programma missilistico Camm ER, sul velivolo a pilotaggio remoto Euromale abbiamo dato segnali contraddittori, a volte negativi: rischiamo, quindi, o di essere emarginati o di svolgere solo ruoli non indispensabili. Queste scelte hanno un carattere strategico e una durata di decenni: sono le scelte di un paese, non di un governo. Non possono, quindi, essere costantemente rimesse in discussione.
È tempo di mettere un po’ di ordine e portare un po’ di serenità dopo un anno complicato, particolarmente nel settore della difesa. Lo richiedono e lo meritano le Forze Armate, ma soprattutto il nostro Paese.
Fonte: formiche.net