di Gianni Riotta
«Sbagli Marusya», disse Sofya Osipovna. «Sono un chirurgo e posso dirti che c’è una sola verità, non due. Quando taglio la gamba a un soldato, non conosco due verità. Se cominciamo a far finta che esistano due verità siamo nei guai. Soprattutto in guerra, quando le cose vanno male come adesso, c’è una sola verità. Una verità amara, ma che può salvarci. Se i tedeschi occuperanno Stalingrado, imparerai che chi insegue due verità non ne acchiappa nessuna e sarà la tua fine». Così, nelle prime pagine di Stalingrado, capolavoro riscoperto dello scrittore ebreo russo Vasilij Grossman (1905-1964) (nella foto), una dottoressa sincera chiarisce il senso del Vero e Falso, contraddicendo la «doppia verità» di Marusya, militante bolscevica. Per lei valeva la propaganda del Cremlino: la «verità» del partito giustifica ogni sofferenza patita dalle vittime. Basterebbe questo passaggio a rivendicare l’attualità di Stalingrado nel XXI secolo, era della disinformazione in cui, come allora, il Cremlino eccelle. Ma quando Stalingrado sarà leggibile in italiano, dopo la prima traduzione inglese di Robert and Elizabeth Chandler il mese scorso (editore NYRB), il lettore capirà di che capolavoro stiamo parlando.
Roberto Calasso di Adelphi pubblicò con coraggio l’altro romanzo chiave di Grossman, Vita e destino, conquistandogli un grande pubblico in diretta dal Tg1, perché quel che Guerra e pace di Tolstoj è stato per l’Ottocento, Vita e destino, stampato in forma completa a Mosca solo nel 1988 dopo decenni di censura sovietica, rappresenta per il Novecento. Un romanzo dove Storia, personaggi reali (Stalin compare in prima persona), vita familiare, paura delle battaglie e calore dei sentimenti commuovono, maturando in riflessione filosofica. Per i critici dell’avanguardia il romanzo tradizionale era morto, e invece Vasilij Grossman vi travolgerà con il suo monumentale volume come la tormenta che accerchiò nel 1943 la VI Armata tedesca del generale von Paulus e i nostri alpini, annichilendo Hitler. Già la vicenda delle due opere è avvincente. Vita e destino fu composto negli anni 50, ma, quando Grossman lo spedisce per la pubblicazione alla rivista Znamya, la polizia gli irrompe in casa, sequestrando manoscritto e nastri della macchina da scrivere, mentre l’ideologo cupo Suslov ammonisce «Ci vorranno cento anni prima che queste pagine appaiano». Nascosto in un armadio dall’amico Semyon Lipkin, contrabbandato in microfilm all’estero, Vita e destino è il seguito di Stalingrado, che prende risoluto le mosse dalla battaglia decisiva della Seconda guerra mondiale, combattuta nella città sul Volga oggi Volgograd, due milioni tra morti, feriti e dispersi, dall’agosto 1942 al febbraio 1943.
I personaggi si raccontano l’un l’altro dei primi, terribili mesi dell’invasione tedesca, quando i panzer con la svastica arrivarono alla periferia di Mosca, circondarono Leningrado e occuparono l’Ucraina, e così, tra Stalingrado e Vita e destino, Grossman uguaglia lo spazio di Tolstoj, affiancando all’epica dell’offensiva di Napoleone in Russia 1812 lo scontro tra i dittatori 1941-1945. Molti personaggi son comuni, Viktor Shtrum, fisico indolente, appare in entrambi, e la lettera che la madre gli scrive prima di essere trucidata perché ebrea è filo straziante tra i due classici. La missiva si legge in Vita e destino, ma le peripezie delle pagine da quaderno di scuola con le ultime parole della mamma al figlio le trovate in Stalingrado. È episodio autobiografico, la mamma di Grossman cadde nei pogrom di Berdichev, in Ucraina, e lo scrittore ebbe per sempre il rimorso di non averla richiamata subito a Mosca, preoccupato dalla casa piccola e dai malumori della compagna.
Stalingrado debutta nel 1952 con il titolo, imposto dai burocrati all’autore dopo lunghe trattative, Per una giusta causa. Grossman, miope ingegnere chimico (un altro grande chimico scrittore ebreo del ‘900 come Primo Levi!) si era arruolato come cronista di guerra per il periodico Stella Rossa e i servizi originali, protagonista perfino un mulo abbandonato dagli alpini che si innamora di una puledra russa, ne avevano fatto l’idolo dei fanti. Solo per caso scampato a morte o al gulag, il suo lavoro sull’Olocausto degli ebrei in Urss inviso al Pcus, nel 1952 Grossman vede Per una giusta causa dapprima elogiato dalla critica. L’anno dopo Stalin, tuttavia, lancia una rabbiosa campagna antisemita e per Grossman non ci sarebbe stato scampo senza l’improvvisa morte del dittatore. Fino all’ultimo, nel 1964, mai più lo scrittore uscirà dall’ombra, senza mai perdere però grazia e saggezza (leggete il magnifico Il bene sia con voi, diario di un viaggio in Armenia per racimolare qualche rublo, Adelphi).
«Attenersi alla brutale verità della guerra», contro sentimentalismi e bugie, è il credo di Grossman, ancora indispensabile nella lotta alla disinformazione. La sua umanità colta ci regala pagine magnifiche, i tormenti e i flirt di Viktor, l’angoscia del commissario politico Krimov, tra fede nel partito e stragi, lo stoico colonnello Novikov travolto dall’amore per una pittrice, personaggi reali come il maresciallo Timoshenko, che prova invano a ricordare i nomi degli ufficiali caduti, le donne in prima linea come nei racconti della Nobel Svetlana Aleksievic, le donne nelle retrovie, sigaretta in mano, famiglia e storia a circondarle. E la scienza, con i suoi dubbi e successi, protagonista viva come solo nei romanzi di Calvino. Tolstoj e Omero sono il Dna di Grossman: se da tempo non leggete un romanzo che vi abbia fatto piangere, ridere, battere il cuore con la voglia di battervi «per una causa giusta», Stalingrado, con la sua verità in tempi oscuri, è per voi.
Fonte: La Stampa, 30 luglio 2019