di Maurizio Molinari

L’antica strada dei pellegrini per salire verso il Tempio di Gerusalemme riappare dalle viscere della città e consente di immergersi in ciò che vi avveniva oltre 2000 anni fa. Il sottosuolo di Gerusalemme conserva intatte le tracce della genesi del monoteismo e quelle dei pellegrini iniziano ad affiorare, quasi per caso, in una giornata del 2004 quando salta una tubatura nel quartiere di Silwan, a sud-est della Città Vecchia.

Il Comune fa intervenire un team di operai per riparare il guasto e, come avviene sempre in simili occasioni, vengono accompagnati da alcuni archeologi. Gli uni e gli altri scavano assieme, imbattendosi in una scalinata lunga una dozzina di metri proprio sopra l’antica piscina di Shiloah (nella foto) dove i pellegrini ebrei si immergevano per i bagni rituali prima di ascendere al Tempio di Gerusalemme, distrutto dai romani di Tito nell’anno 70. Gli archeologi riconoscono gli scalini perché sono simili a quelli delle Porte di Hulda, l’accesso al Monte del Tempio lungo la parete Sud bloccata da quando nell’anno 705 viene costruita la moschea di Al Aqsa.

La scoperta della piscina di Shiloach fa ritrovare anche un canale sotterraneo di drenaggio dell’acqua che serviva l’antica Gerusalemme: percorrendolo in circa 45 minuti si arriva all’interno della Città Vecchia. Fu uno degli ultimi nascondigli per gli ebrei in fuga dai legionari di Tito durante la fase più cruenta della distruzione del Tempio.
Ma la vera sorpresa arriva da ciò che viene scoperto sopra il canale idrico ovvero il pavimento della «Strada dei pellegrini». Si tratta di un percorso in pietra levigata, largo circa 7 metri e lungo 600, che parte dalla piscina di Shiloah ed arriva fino al Monte del Tempio. A percorrerlo duemila anni fa erano milioni di pellegrini ebrei in occasione di tre festività annuali – Pesach, Shavuot e Sukkot – che ancora oggi segnano il calendario ebraico. I pellegrini si immergevano a Shiloah come in altre piscine laterali, per il bagno di purificazione, risalivano la strada ed arrivavano al Tempio per le preghiere ed i sacrifici offerti a Dio.

Lo storico Giuseppe Flavio scrive che durante i pellegrinaggi circa 2,7 milioni di ebrei arrivavano a Gerusalemme, celebrando 256 mila sacrifici. Percorrendo il pavimento biancastro della strada dei pellegrini scoperta dagli archeologi di Ronny Reich ed Eli Shukron ci si immerge nel mondo di allora. Sulla sinistra una piccola scultura in tre gradini ha le esatte fattezze descritte dal Talmud per il luogo dove venivano lasciati gli oggetti perduti affinché venissero restituiti ai legittimi proprietari, i lati della strada – che misura al millimetro la larghezza indicata dalla Mishnà – sono segnati da piccoli blocchi di marmo che si interrompono dove sorgevano le botteghe che offrivano ai viandanti ogni sorta di oggetti, cibi, bevande.

Procedendo negli scavi gli archeologi hanno trovato monete dell’epoca – con la scritta «Libera Sion» coniata per sfidare gli occupanti romani – resti di palme, ossa umane ed animali, spade di legionari ed «anche molta cenere» come affermano i volontari che scavano nel sottosuolo. Saranno gli esami scientifici a dire se si tratta dei resti dell’incendio che distrusse il Secondo Tempio nell’anno 70 ma il percorso sotterraneo evoca in ogni dettaglio «il cuore del popolo ebraico» come riassume Doron Spielman, vicepresidente della Fondazione Ir David (Città di David) che finanzia gli scavi. Un esempio viene dalla discussione nel Talmud fra Hillel e Shammai – due importanti figure rabbiniche del Primo Secolo – su quale età doveva avere un figlio per essere obbligato a seguire il padre nel pellegrinaggio: Shammai, il più severo, sosteneva che il figlio doveva essere incluso se era in grado di stare seduto sulle spalle del padre mentre Hillel ribatteva che la condizione era di riuscire a salire da solo per 750 metri, ovvero percorrere da solo la Strada dei pellegrini. Fino ad ora a molti studiosi tale discussione era sembrata incomprensibile ma ora, davanti ai gradini ritrovati, diventa improvvisamente logica.

Il percorso finora scavato è di circa 250 metri e un tratto arriva fin sotto le mura della Città Vecchia dove gli archeologi israeliani raccolgono ed esaminano con estrema cura e le tecnologie più avanzate ogni frammento di oggetto, ispezionando il terreno palmo a palmo. Prima di loro qui hanno scavato i britannici Frederick Bliss e Archibald Dickey, inviati dalla Regina Vittoria fra il 1894 ed il 1897, e Kathleen Kenyon a metà degli anni Sessanta, concentrandosi però solo – e invano – nella ricerca di mitici tesori. Furono proprio i britannici ad individuare la pianta di una chiesa bizantina costruita sulla Strada dei pellegrini – che quasi certamente anche Gesù percorse – che ora è viene strappata ai detriti secolari. Guardando il terreno, colpisce la stratificazione per ere storiche di una città che dopo i romani è stata occupata da bizantini, crociati, arabi e turchi.

Questi scavi fanno parte del «Piano Shalem» approvato dal governo israeliano nel 2017 per riportare alla luce l’antica Gerusalemme: includono la Città di David, dove si trovava il palazzo reale, ed anche l’area adiacente della fonte di Ghihon, il luogo dei gevusei da cui la città ebbe inizio 3000 anni fa. Yisrael Hasson, direttore dell’Autorità israeliana per le Antichità, spiega che «il progetto consentirà di far tornare alla luce la vita che la città aveva durante il Secondo Tempio». Ad illustrarlo con chiarezza è la mappa che archeologi e scavatori hanno portato nel sottosuolo: mostra il percorso della Strada dei Pellegrini da Shiloah fino all’Arco di Robinson, costruito da Erode, lasciando comprendere come a Sud-Est dell’attuale Città Vecchia vi fosse un grande polmone di vita ebraica dovuto ai tre pellegrinaggi annuali.

È in questo angolo sotterraneo di Gerusalemme che l’ambasciatore Usa, David Friedman, è venuto ad aprire a colpi di martello un varco lungo la Strada dei Pellegrini per rendere omaggio alle «scoperta delle radici del passato» ma sollevando le ire dell’Autorità nazionale palestinese che con Saeb Erakat lo ha paragonato ad un «colono estremista israeliano» affermando: «Gli scavi mettono a rischio il quartiere arabo di Silwan al fine di giudaizzare la città che è invece destinata ad essere la nostra capitale». È la una tesi che nasce da quanto Yasser Arafat, leader dell’Olp, disse di persona a Bill Clinton nel summit di Camp David del 2000 lasciandolo di stucco: «Il Tempio di Salomone non si è mai trovato a Gerusalemme perché era a Nablus». Per Gabriel Barkay, archeologo israeliano sopravvissuto alla distruzione del ghetto di Budapest durante la Seconda Guerra Mondiale, «la negazione del Tempio di Gerusalemme è peggiore del negazionismo sulla Shoah perché vuole rescindere il legame stesso fra terra e popolo d’Israele». Anche per questo l’ambasciatore Friedman ribatte così Erakat: «Rinunciare alla Strada dei pellegrini per Israele sarebbe come per l’America privarsi della Statua della Libertà». Le polemiche, specchio del perdurante contenzioso territoriale fra israeliani e palestinesi, coesistono con i progressi degli scavi.

Fonte: La Stampa

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