Un muro in cemento, alto sei metri, tutto intorno a Sharm el-Sheikh. Una barriera per isolare e mettere al sicuro la località turistica sul Mar Rosso, fino al 2015 era una macchina da soldi per l’Egitto. Sharm, un paradiso per i subacquei, non si è mai ripresa del tutto dall’attentato dell’Isis che il 31 ottobre ha abbattuto un aereo charter russo appena decollato per San Pietroburgo. La strage, 224 morti, ha portato alla cancellazioni dei collegamenti diretti dall’Europa e fatto crollare le presenze nei resort. Il giro d’affari è passato dai 7 miliardi del 2015 di dollari a 3,7. Quest’anno è tornato a crescere del 35 per cento ma ancora non basta.
La bomba, contenuta nella lattina di una bibita, era stata introdotta a bordo da una talpa dei jihadisti nello scalo, un buco nella sicurezza che ha minato la fiducia. Le autorità hanno quindi deciso una misura drastica. Le immagini della costruzione del muro sono state scattate da residenti e pubblicate da media internazionali, come il Guardian. ll governatore del Sud Sinai, generale Khaled Fouda, ha minimizzato: «Non è un muro». Sarà piuttosto una «barriera», con «quattro magnifiche porte di accesso», lunga 37 chilometri, in parte in cemento, in parte recinzione con filo spinato. La sostanza non cambia. Sharm el-Shekh diventerà una fortezza accessibile da terra soltanto attraverso i check-point, per filtrare ogni ingresso. L’obiettivo, conferma il governatore, è mettere in sicurezza Sharm, «per assicurarle un futuro e rilanciare l’industria turistica». E anche per evitare un altro attacco come quello del 23 luglio del 2005, quando un commando di jihadisti delle Brigate Abdullah Azzam, l’Al-Qaeda egiziana, fece strage negli hotel con camion bomba: 87 vittime, per un terzo straniere. Il progetto della barriera venne lanciato allora, ma poi sospeso per i costi esorbitanti. Da allora sono state piazzate telecamere di sorveglianza e nuovi check-point.
Troppo poco. Ora la minaccia si chiama Isis e la situazione nel Sinai è ancora troppo degradata per permettere il ritorno in massa dei turisti, specie da Gran Bretagna e Russia. La maggior parte dei visitatori, depositati direttamente sulle spiagge, non avrà modo di osservare il muro grigio, fatto di blocchi prefabbricati. Una brutta vista che danneggia soprattutto gli abitanti locali. L’area attorno a Sharm è territorio di tribù beduine, schierate con il governo nella lotta contro gli jihadisti, e tagliate fuori dalla città. Una esclusione che rischia di mettere in discussione la loro lealtà, proprio mentre l’Isis cerca di cooptare i giovani emarginati.
La guerra al terrorismo nella Penisola è lontana dall’essere vinta. In cinque anni le forze di sicurezza hanno avuto 1500 caduti. Migliaia di terroristi sono stati eliminati, con metodi spicci, ma la Wilaya Sinai, la provincia locale dello Stato islamico, conta ancora su 2-3 mila combattenti ed è in grado di mettere a segno attacchi devastanti, come quello a una postazione dell’esercito vicino all’aeroporto di Al-Arish, capoluogo del Nord Sinai, del 16 febbraio: 15 soldati massacrati. Ieri l’esercito ha risposto con l’uccisione di “decine di militanti” ma la capacità dei jihadisti di colpire in centri altamente sorvegliati è inquietante. E non è detto che basti un muro a riportare tranquillità.
Giordano Stabile Fonte: La Stampa Foto: theguardian.com