24 luglio 2011. Vi è qualche cosa che non funziona in un sistema politico, culturale, informativo che, in poche ore, passa dall’attribuzione delle due stragi norvegesi prima al terrorismo islamico poi alla constatazione provata che si è di fronte ad un criminale tutto nostro, tutto europeo, e la cui cultura è tutta europea.
di Umberto Mazzone*
Non si può neppure parlare di indagini partite col piede sbagliato (ne abbiamo fatta esperienza anche in Italia, basti ricordare la strage di Piazza Fontana a Milano del 1969). Qui le indagini non erano neppure state avviate, tanto che, poche ore dopo l’inizio degli avvenimenti, l’attentatore è stato arrestato sul luogo dei suoi delitti. Ora restano da indagare solo eventuali sostegni e complicità.
Inoltre è difficile riscontrare significative varianti date dal diverso orientamento politico dell’informatore. Tutto sommato, tolte piccole accentuazioni, un uso più insistito del se, del forse rispetto ad espressioni di certezza, non possiamo certo dire, per restare in Italia ma all’estero non andata meglio, che il Manifesto e l’ Unità abbiano inizialmente sviluppato analisi troppo lontane, nell’immaginare i responsabili, da quelle del Giornale, o di Libero o del Tempo.
Ancora una volta è il caso di dire che la vox populi non è stata la vox Dei.
Questa è una prima lezione che dobbiamo trarre: anche se ci troviamo di fronte a due apparenti ovvietà nelle ipotesi di soluzione, il nazista criminale o il fondamentalista islamico con bomba al seguito, non è ovvia la via che porta alla soluzione.
L’esame dei conflitti politici, interni ed internazionali, e le soluzioni nate dall’11 settembre 2001 non sono più sufficienti. Possono spiegare ancora parte dei conflitti, ma non spiegano, e forse non hanno mai spiegato, tutti i conflitti.
In questo caso l’Europa è di fronte a se stessa e solo a se stessa. Può forse consolarsi con i ricordi dell’attentato di Oklahoma City del 1995 o con altri massacri d’Oltreoceano, ma, appunto, è solo una consolazione. L’Europa deve fare i conti con i fantasmi del suo passato, con i lupi mannari che ritornano (e non a caso Werwolf, lupi mannari, si chiamavano le unità più fanatiche che i nazisti lasciavano dietro di loro al momento di ritirarsi). In questo caso è tutto un mondo che riaffiora alla superficie, un insieme di saghe nordiche, di paganesimo che si mescola a rimasugli non digeriti di un cristianesimo che rinnega le sue origini, di superiorità razziale, di odio per i sotto-uomini, per chi rappresenta la speranza di un futuro socialdemocratico, come i giovani del Partito laburista norvegese.
Le biblioteche delle nostre grandi cattedrali del sapere sono piene di testi che ci riportano a questi orrori. Senza sconti è bene che ripensiamo alle nostre radici europee: non tutto è così limpido come, magari, ci illudiamo di credere.
E lo sparare, a colpo mirato, a decine di ragazzi, uno per uno, uno dopo l’altro, ci porta solo alla memoria di stermini che l’Europa ha già vissuto nel suo tragico XX secolo, dalle Fosse Ardeatine sino ad un crimine di segno ideologico diverso, ma altrettanto spaventoso, alle Fosse di Katyn, alla eliminazione della classe dirigente di un paese.
* professore associato di storia del cristianesimo e delle chiese Università di Bologna