È il comandante del battaglione alpini L’Aquila di stanza nella provincia di Farah «Ripagati dal rispetto della popolazione, basta un sorriso o una stretta di mano»

Ogni volta che rientra in Italia, il suo primo pensiero corre alla sua famiglia. Ma dalla provincia di Farah, in Afghanistan, il tenente colonnello modenese Marcello Orsi (nella foto, al centro) rivolge quotidianamente un pensiero alla sua amata Ghirlandina. Da un anno comandante del battaglione L’Aquila del 9° reggimento alpini, Orsi è uno dei tanti militari italiani impegnati nel processo di “transizione” in medio-oriente, la delicata fase della missione italiana per il passaggio di responsabilità agli afghani nel controllo del loro Paese.

Tenente colonnello, da quanto tempo svolge missioni in medio-oriente?

«Questa è la seconda volta che mi trovo in operazioni in Afghanistan, la prima fu nel 2003 con il contingente Nibbio a Kost per l’operazione “Enduring Freedom”, nel grado di capitano sempre nel 9° reggimento alpini. Ho scoperto con piacere e per caso, ascoltando accenti e dialetti, che ci sono altri militari della provincia di Modena presenti qui con l’arma dei carabinieri».

Sono trascorsi due anni dall’ultima missione della brigata Taurinense in Afghanistan. A che punto è ora la missione?

«Ci troviamo nel pieno del processo di transizione. Com’è stato deciso dal governo, il nostro impegno si sta riducendo man mano e stiamo passando zone del paese sotto il loro controllo, come ad esempio Bala Murghab a nord. Io ho la fortuna di poter lavorare sul campo, fianco a fianco con i militari afgani e giorno dopo giorno apprezzo sempre più la loro determinazione. Sono convinto che siamo sulla strada giusta. La popolazione afghana che incontriamo ha voglia di cambiare la situazione, di avere un futuro di cui sono protagonisti. Il rapporto va costruito giorno per giorno, ma l’approccio italiano si è dimostrato vincente, un’empatia spontanea che ci permette di comprendere le problematiche e farci accettare, attraverso il rispetto di cultura, religione e usanze».

E con i militari di altre nazionalità?

«I rapporti sono ottimi, a fianco a noi c’è una base americana che ospita anche soldati sloveni. Certo la peculiarità della situazione stimola sentimenti di fratellanza e sincera amicizia, e non mancano occasioni per stare insieme, magari davanti a una pizza italiana o un hamburger americano. Tra le nostre basi le porte sono sempre aperte».

Ricostruzione, assistenza alla popolazione. Su quale di questi aspetti si sta concentrando ora il suo reggimento?

«Il 9° reggimento costituisce il “cuore” della Task-Force South, al comando del Colonnello Riccardo Cristoni, ed è impegnato in operazioni in supporto all’esercito e alla polizia afgane. La provincia in cui operiamo è molto vasta, un po’ più grande dell’Emilia, e non mancano le occasioni per assistere i villaggi più bisognosi con la consegna di beni di conforto e assistenza sanitaria a domicilio. In particolare c’è un orfanotrofio, costruito dagli italiani che ospita oltre 300 bambini in cui andiamo spesso. È un pezzo d’Afghanistan un po’ “tricolore” a cui teniamo molto».

Come trascorre le giornate durante la missione?

«Le giornate scorrono rapidamente e non mancano le occasioni per uscire in pattuglia, incontrare la gente dei villaggi. Ogni volta che il mio comandante me ne dà la possibilità, e fortunatamente capita molto spesso, trascorro le mie giornate preparando le operazioni a cui poi parteciperò con i miei uomini».

Nove anni fa l’attentato di Nassirya in Iraq che spesso riaccende polemiche. Lei che cosa ne pensa?

«In Afghanistan piangiamo e onoriamo 52 caduti, l’ultimo dei quali il Caporal Maggiore Tiziano Chierotti, alpino del 2° reggimento. Ritengo sia sufficiente rammentare che garantire la sicurezza qui significa assicurare la sicurezza a casa nostra».

Qual è stato il momento più duro durante la missione? Quello più “gratificante”?

«Sicuramente quello dell’attacco in cui è morto il nostro fratello in armi del 2° reggimento alpini. Abbiamo appreso via radio, durante un’operazione condotta a 20 km di distanza dal luogo dell’evento, quello che era successo. Il momento più gratificante accade ogni qual volta vedo i mie uomini sorridere, consapevoli di aver svolto al meglio il loro compito e durante le operazioni orgogliosi di essere lì, insieme, a rappresentare il nostro Paese. A questo si aggiungono anche i gesti spontanei della popolazione che ricambia il nostro approccio. Una stretta di mano di un anziano, il sorriso dei piccoli o l’ospitalità di chi ha già così poco per vivere sono belle sensazioni».

C’è qualcosa che le manca in particolar modo di Modena e dell’Italia?

«Modena e l’Emilia mi mancano moltissimo, a partire dal sorriso che da sempre ci contraddistinguono fino ad arrivare ai mie adorati tortellini, rigorosamente in brodo, che non manco di “visitare” ogni qual volta mi trovo a passare per Modena. Credo sia più semplice dire cosa non mi manca dell’Italia, ovvero l’atteggiamento disfattista che con rammarico spesso vedo affliggere gran parte della popolazione, forse immemore delle sfide che da sempre noi italiani abbiamo vinto». Qual è il suo primo pensiero ogni volta che torna in Italia? «Il mio pensiero corre subito alla mia famiglia ed in particolare al mio piccolo “Orsetto” Filippo nato solo 3 anni fa».

Fonte: Gazzetta di Modena, 21 novembre 2012

 

 

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