11 febbraio 2013. ”Io sto vivendo in Libano, non sto facendo semplicemente una missione”: lettere da un ‘fronte’ che, fatte salve le esigenze di sicurezza per l’impegno in zona operativa, si rivela ricco di umanita’, scambi culturali e frammenti di vita vissuta.
Accade in Libano, dove i militari del contingente italiano che prende parte alla missione multinazionale Unifil dell’Onu, hanno partecipato ad un concorso letterario indetto dal comando con l’obiettivo di ”cogliere il senso di partecipazione e di coinvolgimento del soldato italiano impiegato nella missione”.
L’iniziativa e’ stata patrocinata della Societa’ Dante Alighieri, organizzazione internazionale promotrice della diffusione della lingua e della cultura italiana nel mondo che ha donato dei libri a tutti i partecipanti. La stessa societa’ presentera’ gli elaborati al ”Premio Energheia” giunto in Italia alla diciannovesima edizione.
”Ti sembrera’ paradossale, eppure -scrive il capitano Anna Polico (nella foto con Emilio Bonifazi, sindaco di Grosseto), autrice dell’elaborato classificato al primo posto, intitolato ‘Il mio Libano’ e rivolto idealmente al padre- star qui mi fa sentire incredibilmente bene. In questo paese, che mi affascina e mi rapisce, tra questa gente che lotta per cercare di ricominciare con un’identita’ nuova e piu’ forte, tra gli occhi, pieni di speranza, di bimbi che imparano, giorno per giorno, a sorridere di nuovo e donne che ascoltano quello che ho da dir loro con il volto rapito di chi segue un film affascinante e lontano dalla loro realta’ mi sento viva, tremendamente viva e fortunata”.
”C’e’ dolore e rassegnazione, ma tanta voglia di cambiare, di chiudere un passato tragico e guardare avanti. C’e’ amicizia, ospitalita’ ma ancora tanta paura. Vorrei essere all’altezza di tutto, vorrei non stancarmi mai di donare sorrisi, vorrei non dover valutare quale strada poter percorrere: mi piacerebbe non aver limiti in questo paese incantevole”, prosegue l’autrice del raccontro ‘Il mio Libano’.
Al secondo posto si e’ classificato il primo caporal maggiore Luca Piscitelli, con ‘Walid’, toccante testimonianza di un incontro con un bambino libanese che da’ il nome al racconto. Un evento abituale per le pattuglie italiane in missione ma che in quel caso provoca un ritardo provvidenziale che salva tutti i componenti del gruppo da una frana.
”I miei coetanei si ostinano a pensare, con qualche leggerezza, che la vita di un giovane militare sia fatta soltanto di caffe’, cellulari e sigarette. Non e’ cosi’! Il senso della vita -scrive- e’ tutto nei valori nei quali credi: l’amicizia, la solidarieta’, la consapevolezza di agire per un bene comune, superiore ai piccoli interessi privati. L’orgoglio di partecipare a una missione di pace mi ammansisce, mi fa vincere la struggente nostalgia del mio paese, mi restituisce il senso di appartenenza ad una piccola comunita’ che persegue un nobile scopo: la pace!”.
Dopo essere stato improvvisamente abbracciato dal bambino, ”accarezzai la sua testa come un padre fa con il figlio, fu un gesto istintivo,lui mi guardo’ e sorrise. Esistera’ anche un istinto paterno, a fronte di quello materno? Forse si’, se guardo alla spontaneita’ del mio agire in questa circostanza” Il ”piccolo e piacevole contrattempo mi ha tenuto lontano dai compagni, apparentemente senza una giustificazione plausibile”.
”Sono, in pratica, solo -si legge nel racconto- quando sento un frastuono, come di qualcosa di pesante che impatti al suolo. Il bambino, forse spaventato, s’allontana. Quasi non me ne accorgo, preoccupato per il fragore appena udito. Volgo lo sguardo dalla parte dalla quale e’ provenuto e mi accorgo che il boato e’ causato da un fenomeno qui abbastanza frequente”. ”La pioggia degli ultimi giorni -spiega- ha provocato l’ennesimo smottamento. Massi enormi sono disseminati ai lati della strada, precipitati proprio nell’area in cui e’ previsto il nostro stanziamento per la giornata”.
”Per poco che ci fossimo spostati -e’ la testimonianza- avremmo avuto la frana addosso. Cosi’, in seguito, ho fatto credere di essere stato fortunato a sentirmi male proprio nel momento del disastro. I miei compagni di squadra considerano una felice occorrenza il mio supposto malore”.
”Terminate le operazioni di sgombero quando ormai e’ sera, liberato un passaggio per ristabilire la viabilita’ a una corsia, messa in sicurezza la zona, ritorniamo alla base. Sono molto stanco, ma cio’ non mi impedisce di fare una piccola ricerca sul web”. ”Digito su un motore di ricerca la parola ”Walid”. Tra i risultati spunta quello che le assegna il significato di ”nuova nascita”.
Sorrido perche’ effettivamente mi sento rinato. Non sapro’ mai quale sorte tocchera’ a Walid, se e’ vero che cosi’ si chiama. Mi piace pensare che sia stato il suo abbraccio a salvare la mia squadra dall’imminente frana. Il pensiero mi mette allegria. I bambini, tutti i bambini ci salveranno dai disastri. Magari loro saranno piu’ saggi di noi. Sebbene sia solo una speranza, l’idea mi accarezza e mi concilia il sonno.Ora -e’ la conclusione del racconto del sottufficiale italiano- sono di nuovo a casa perche’ mi sento come protetto dall’abbraccio di Walid”.
Fonte: Adnkronos