31 luglio 2012. La crisi siriana preoccupa non poco le autorità di Beirut. Il precario equilibrio del Paese dei Cedri può essere infranto da un momento all’altro e il “rischio di un’implosione” del Libano è tutt’altro che remoto.

 

Le turbolenze della regione mediorientale, e in particolare il conflitto che oppone le forze di Bashar al Assad ai ribelli di opposizione in Siria, stanno cominciando già a fare sentire i loro effetti, in particolare sull’economia libanese, l’agricoltura, il commercio e il turismo.

E Giampaolo Di Paola, che ieri mattina ha incontrato il presidente Michel Sleiman e lo speaker del Parlamento Nabih Berri, ha toccato con mano la tensione che si vive a Beirut, raccogliendo “la richiesta libanese di un sostegno” convinto al paese.

Il Libano, d’altra parte, è diventato ormai da settimane terra di approdo di migliaia di profughi siriani in fuga dalle violenze. “Secondo stime non precise”, di cui il ministro della Difesa ha avuto notizia durante i suoi incontri, “da 50.000 a 100.000 profughi siriani si stanno sparpagliando in tutto il Libano”. E non si tratta solo di accoglienza, ma “di un vero e proprio problema economico, oltre che sanitario”, ha detto Di Paola, secondo il quale serve l’impegno di tutti per evitare che la situazione precipiti.

Le forze armate libanesi, su ordine delle autorità di governo, stanno già facendo la loro parte. Per garantire la sicurezza alla frontiera, “uno dei problemi maggiormente avvertiti”, l’esercito ha rafforzato la sua presenza ai confini settentrionale e nord-orientale. Alcune migliaia di uomini sono state spostate in loco, anche dal “tranquillo sud”, area in cui opera la missione internazionale Unifil. E anche quest’ultima non si sta certamente tirando indietro. L’impegno e la capacità, mostrati in particolare dal contingente italiano, sono molto apprezzati a Beirut; l’attenzione dei nostri Caschi Blu è sempre massima.

Di Paola ha invitato comunque i 1.100 militari nazionali “a mantenere alta la vigilanza”, per il bene di Unifil e di tutto il Libano. I colpi di coda sono sempre possibili, anche in una regione sostanzialmente tranquilla come quella a sud del fiume Litani. E, forse, non è solo un caso se proprio di fronte alla base italiana di Shama sventola imperiosa una bandiera di Hezbollah, tradizionale alleato di Damasco, la madre di tutte le preoccupazioni.

E anche per questo che il primo, decisivo, passo deve essere compiuto all’Onu. Per una soluzione della crisi siriana “l’Italia auspica una presa di responsabilità delle Nazioni Unite, un rafforzamento dell’iniziativa politica di Ban Ki-moon e di Kofi Annan”.

Perché tale iniziativa abbia successo, secondo il ministro, “è necessario che i membri del Consiglio di sicurezza trovino una soluzione comune”. Che non può e non deve essere quella di un’operazione militare straniera, peraltro al momento esclusa. La strada che sta percorrendo l’Onu è quella “politica”: “mi sembra che nessuno abbia espresso la necessità di un intervento”, ha precisato Di Paola.

Redazione

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