Lecce è a 1.729 chilometri da qui. Non è una gran notizia ma per chi ha piantato l’indicazione nel terreno fradicio del Libano Sud, è una ragione di conforto: casa è laggiù, verso Nord Ovest, oltre il Mediterraneo che da queste colline sembra avere una larghezza oceanica.

“Qui” non è Doha dove si decidono i destini del Medio Oriente, non è il Cairo dove il futuro dell’Egitto cambia ogni ora. Non è nemmeno il campo di battaglia della Siria che in una giornata tersa la guardia in cima alla torretta riesce a vedere verso Est.

Anche “Qui” è stato tante volte un campo di battaglia, molto peggiore della Siria. Dire che attorno ci siano campi minati, è riduttivo: sono stratificazioni di mine, tante quanto i conflitti combattuti fra Israele e gli arabi. Nella stagione delle piogge alcuni ordigni di qualche guerra fa scivolano con il fango nei wadi, rendendo inutili le mappe che indicano la disposizione delle mine e difficile il lavoro degli sminatori italiani dell’Onu.

“Qui”, dunque, è Base 1.31, un ridotto italiano di Unifil sulla frontiera fra Israele e Libano. Centocinquanta metri per 150. Solo 22 donne e uomini del Savoia Cavalleria, comanda il maresciallo Diego Toraldo. Sono parte del migliaio di caschi blu italiani, parte dei 12mila militari di 37 Paesi che compongono la forza d’interposizione delle Nazioni Unite. Il turno in questo fortino isolato a otto chilometri da Shama, il quartier generale di Italbatt, dura due mesi. L’unica compagnia, giusto sotto la torretta più alta di 1.31, è una postazione israeliana raramente abitata da soldati in carne ed ossa. In genere i suoi sensori di controllo sono attivati a distanza. Le carte militari la indicano come W 404 Bravo.

Il confronto fra Israele ed Hezbollah è congelato: altri eventi stanno accadendo attorno. Ora, oltre il filo spinato di 1.31 è tutto calmo e silenzioso. A parte il vento che soffia impetuoso e la pioggia che cade a secchiate. Ma la base non deve essere scambiata per una Fortezza Bastiani in mezzo a una pianura desolata. E’ esattamente il contrario: questa è una terra troppo piccola e sempre più abitata per accontentare tutti quelli che la vogliono.

La base italiana è a picco sopra Israele. Giusto sotto si distinguono le strade di Morad Ha’ar e Shlomi. Più a destra Hanita sale sulla collina e quasi si appoggia sul confine libanese. Dall’altra parte, oltre la boscaglia piena di mine, c’è il villaggio cristiano di Alma As Sha’b.

Senza bisogno del cannocchiale, alla sinistra del campo visivo in direzione di Israele incominciano le colline della Galilea; davanti la piana costiera piena di campi, di serre, di luci, di centri abitati e di gente. Lungo il litorale si distinguono Nahariya, San Giovanni d’Acri, a Sud fino al monte Carmelo e al golfo di Haifa. A destra il mare che prima o poi porta al Salento. Alle spalle, oltre un confine evanescente come sono tutte le frontiere da queste parti, il Sud del Libano con le colline dal profilo dolce ma che sprofondano in wadi a volte inaccessibili. Se non ci fossero le nuvole nere, basse e cariche d’acqua, il Golan si staglierebbe a formare lo sfondo superbo di un panorama senza precedenti.

E’ tutto così piccolo, una geografia e una geopolitica che studiamo sulle mappe e che qui è materiale, concreta, a vista d’occhio. Se ci fosse la pace Base 1.31 sarebbe una meta turistica. Agenzie di viaggio autisti, albergatori e ristoratori di qua e di là della frontiera, farebbero un sacco di soldi.

Se ci fosse la pace si potrebbe noleggiare un’auto a Beirut, prendere l’autostrada Hariri, arrivare in poco più di un’ora a questa frontiera e attraversarla. Traffico permettendo, l’autostrada costiera israeliana porterebbe in quattro ore a Rafah, fra Gaza ed Egitto. Dritti attraverso il deserto del Sinai e il canale di Suez, in cinque ore si arriverebbe alle piramidi. Una decina di ore da Beirut al Cairo.

Ma in dieci giorni, se ci fosse la pace, dopo aver goduto i piaceri di Beirut, andando a Sud verso le piramidi, si potrebbe sostare al lago di Tiberiade, scendere lungo la valle del Giordano fino al Mar Morto, risalire a destra verso Gerusalemme e proseguire in direzione di Tel Aviv. O a sinistra prendere la strada che porta al ponte di Allenby, e poi su, verso la Giordania e il monte Nebo.

Ma la pace non c’è e questo viaggio è solo un miraggio per viaggiatori tenacemente capaci di sognare. E’ per questo che Base 1.31 è qui, a 1.729 chilometri da Lecce.

Ugo Tramballi, 12 dicembre 2012

Fonte: ilsole24ore.com

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