di Giorgio Napolitano
Celebro per il sesto anno, da presidente, la Festa della Liberazione. L’ho celebrata in città capitali della Resistenza come Genova e Milano. L’ho celebrata, fuori d’Italia, a Cefalonia – che fu teatro di una straordinaria prova di dignità, eroismo e sacrificio dei militari della Divisione Acqui – e successivamente a Mignano-Montelungo dove ebbe il suo battesimo di fuoco il rinato esercito italiano dopo che ci era stato riconosciuto, dalle forze alleate, lo status di paese co-belligerante.
Alla mia presenza oggi qui tra voi attribuisco il significato particolare di un richiamo dell’attenzione storica e della memoria collettiva su quelle realtà dell’Italia profonda, popolare e contadina, in cui si radicò, venne combattuta e vinta la Guerra di Liberazione. (…) In questo spirito abbiamo lo scorso anno collocato la data del 25 aprile, e tutto quel che essa rappresenta, nel quadro delle celebrazioni del 150° anniversario dell’Unità d’Italia. Perché – si è giustamente detto, e non va dimenticato – la Festa della Liberazione è anche festa della riunificazione dell’Italia brutalmente divisa in due, dopo l’8 settembre del 1943, dall’occupazione tedesca. Anche di ciò – di quel terribile, sanguinoso periodo di divisione del nostro paese, che avrebbe potuto essere fatale per il futuro dell’Italia – bisogna continuare a rievocare e trasmettere la storia. (…)
Sì, dinanzi alla crisi che ha investito l’Italia e l’Europa, nel quadro di un profondo cambiamento mondiale, abbiamo bisogno di attingere alla lezione di unità nazionale che ci viene dalla Resistenza, e abbiamo bisogno della politica come impegno inderogabile che nella Resistenza venne da tanti riscoperto per essere poi quotidianamente praticato. Ci si fermi a ricordare e a riflettere, prima di scagliarsi contro la politica. Ho già citato qualche volta ma non esito a citare nuovamente le parole della lettera dello studente di Parma, di anni 19, Giacomo Ulivi, condannato a morte e fucilato nella Piazza Grande di Modena il 10 novembre 1944: «Cari amici, allontanarsi il più possibile da ogni manifestazione politica è stato il più terribile risultato di un’opera di diseducazione ventennale, che è riuscita a inchiodare in molti di noi dei pregiudizi, fondamentale quello della «sporcizia» della politica. Tutti i giorni ci hanno detto che la politica è lavoro di «specialisti»: lasciate fare a chi può e deve. E invece la cosa pubblica è noi stessi: dobbiamo curarla direttamente, personalmente, come il nostro lavoro più delicato e importante».
Ecco, quante cose aveva capito quel ragazzo, combattendo per liberare l’Italia dal fascismo e dalla sua ventennale opera di intossicazione delle coscienze. E il messaggio di quel ragazzo, di quel giovanissimo eroe non restò isolato né vano: se fu possibile far rinascere l’Italia, lo fu perché in moltissimi – sull’onda della Liberazione – si avvicinarono alla politica, non considerandola qualcosa di «sporco», ma vedendo la cosa pubblica come affare di tutti e di ciascuno.
E invece oggi cresce la polemica, quasi con rabbia, verso la politica. E si prendono per bersaglio i partiti, come se ne fossero il fattore inquinante. Ma per capire, e non cadere in degli abbagli fatali, bisogna ripartire proprio dagli eventi che oggi celebriamo. Come dimenticare che proprio da allora, dagli anni lontani della Resistenza, i partiti divennero e sono per un lungo periodo rimasti l’anima ispiratrice e il corpo vivo e operante della politica? I partiti antifascisti furono innanzitutto la guida ideale della stessa Resistenza, che non si identificò con nessuno di essi, che non ebbe un solo colore, che si nutrì di tante pulsioni e posizioni diverse, ma dai partiti trasse il senso dell’unità e la prospettiva della democrazia da costruire nell’Italia liberata. E furono quei partiti i promotori e i protagonisti – sospinti dalla forza del voto popolare – dell’Assemblea Costituente, dando vita a quella Costituzione repubblicana che costituisce tuttora la più solida garanzia dei valori e dei principi che scaturirono dalla Resistenza.
E anche quando si ruppe l’unità antifascista e la politica si fece aspra competizione democratica, furono i partiti, e fu la partecipazione dei cittadini a quel confronto, fu la partecipazione popolare alla vita politica e sociale che resero possibile uno straordinario progresso dell’Italia senza lacerazioni dell’unità nazionale.
Sono poi venute, col passare dei decenni, le stanchezze e le degenerazioni – lo sappiamo – della politica e dei partiti. Questi non sono certo più gli stessi dell’antifascismo, della Resistenza e della Costituente: diversi ne sono scomparsi, altri si sono trasformati, ne sono nati di nuovi, e tutti hanno mostrato limiti e compiuto errori, ma rifiutarli in quanto tali dove mai può portare? Nulla ha potuto e può sostituire il ruolo dei partiti, nel rapporto con le istituzioni democratiche. Occorre allora impegnarsi perché dove si è creato del marcio venga estirpato, perché i partiti ritrovino slancio ideale, tensione morale, capacità nuova di proposta e di governo. È questo che occorre: senza abbandonarsi a una cieca sfiducia nei partiti come se nessun rinnovamento fosse possibile, e senza finire per dar fiato a qualche demagogo di turno. Vedete, la campagna contro i partiti, tutti in blocco, contro i partiti come tali, cominciò prestissimo dopo che essi rinacquero con la caduta del fascismo: e il demagogo di turno fu allora il fondatore del movimento dell’Uomo Qualunque – c’è tra voi chi forse lo ricorda – un movimento che divenne naturalmente anch’esso un partito, e poi in breve tempo sparì senza lasciare alcuna traccia positiva per la politica e per il Paese.
Io ho ritenuto doveroso, e non solo negli ultimi tempi ma in tutti questi anni, sollecitare anche con accenti critici, riforme istituzionali e politiche; e mi rammarico che si sia, in questa legislatura e nella precedente, rinunciato a ogni tentativo per giungere in Parlamento a delle riforme condivise. Oggi però si sono create condizioni più favorevoli per giungervi: anche per definire norme che sanciscano regole di trasparenza e democraticità nella vita dei partiti, compresi nuovi criteri, limiti e controlli per il loro finanziamento, e per varare una nuova legge elettorale che restituisca ai cittadini la possibilità di scegliere i loro rappresentanti, e non di votare dei nominati dai capi dei partiti.
In effetti, sono cadute non solo vecchie contrapposizioni ideologiche ma anche forme di sorda incomunicabilità tra opposte parti politiche, ed è dunque possibile oggi concordare in Parlamento soluzioni che sono divenute urgenti, anzi indilazionabili. Non esitino e non tardino i partiti a muoversi concretamente in questo senso. Guardino però tutti con attenzione ai passi per le riforme che si stanno compiendo e si compiranno da parte dei partiti, e non vi si opponga una sfiducia preconcetta e aggressiva.
Prevalga dunque un serio impegno di rinnovamento politico-istituzionale e lo si accompagni, da parte dei cittadini, con spirito più costruttivo e fiducioso. Rinnovamento, fiducia e unità sono le condizioni per guardare positivamente a tutti i problemi economici e sociali che ci assillano e che presentano aspetti drammatici per le famiglie in condizioni più difficili, per quanti vedono a rischio il posto di lavoro e per quanti sono, soprattutto tra i giovani, fuori di concrete possibilità di occupazione. Ed è questo il nostro assillo più grande: aprire prospettive più certe e degne di lavoro e di futuro per le giovani generazioni. La politica, i partiti, debbono, rinnovandosi decisamente, fare la loro parte nel cercare e concretizzare risposte ai problemi più acuti, confrontandosi fattivamente col governo fino alla conclusione naturale della legislatura. Debbono fare la loro parte le istituzioni, dal Parlamento e dal governo nazionale ai Comuni, peraltro condizionati oggi da gravi ristrettezze. Dobbiamo fare tutti la nostra parte, con realismo, consapevolezza, senso di responsabilità, sapendo che le possibilità di ripresa e di rilancio dello sviluppo economico e sociale del Paese, sulla base di una giusta distribuzione dei sacrifici necessari, sono legate anche a un grande insieme di contributi operosi e di comportamenti virtuosi che vengano dal profondo della società e ne rafforzino la coesione.
Sono convinto che potremo riuscirvi, ispirandoci nel modo migliore agli insegnamenti e all’esempio della Resistenza. Trasmettiamo questa convinzione e questo messaggio di speranza nella giornata del 25 aprile, che resta scolpita nella nostra storia e nella nostra coscienza nel ricordo di tutti i combattenti e i caduti della Guerra di Liberazione!
Dall’intervento del Presidente Napolitano in occasione dell’anniversario della Liberazione
Fonte: Il Messaggero, 26 aprile 2012