Il mestiere di chi scrive diventa ogni giorno più complesso. Un tempo ci si accontentava delle due versioni, una pro e una contro. Andava bene così. Oggi non più. Con la discesa in campo dei bloggers, il giornalismo sta cambiando pelle. E bisogna tenerne conto. Gianni Riotta, già direttore de Il Sole 24 Ore, scrive un editoriale su La Stampa.

«Hai sentito anche l’altra campana? Hai le due versioni?»: il saggio monito che il caporedattore d’un tempo dava al cronista in erba è ancora valido nel giornalismo di web e twitter? Per essere equilibrati bastano i due punti di vista opposti, Tav-No, Tav-Sì, Berlusconi-antiBerlusconi, Assad-ribelli in Siria o è arcaico esercizio da Ponzio Pilato? Se lo chiede National Public Radio, Npr, autorevole network di 900 radio pubbliche americane lanciate negli Anni 60 dal presidente Johnson, quanto di meglio i media Usa abbiano in anni rauchi di populismo.

Nel suo nuovo manuale http://ethics.npr.org/ Npr spinge i reporter a non accontentarsi più dei «fatti», delle «dichiarazioni», ma a riconoscere che la verità è molto complessa, costituita da voci, versioni e culture opposte, che il «Lui dice…» «Lei ribatte…» non sa illustrare. La svolta di Npr, bastione dell’anglosassone «fairness», equanimità, viene dalla frustrazione per un mondo in cui ormai poco «accade» senza filtri e, soprattutto in politica, ogni «notizia» è curata da «spin doctors», manager dell’immagine che costruiscono realtà posticce a vantaggio dei leader.

Il manuale Npr è accolto con entusiasmo da Jay Rosen (nella foto), filosofo della New York University e padre del movimento Citizen Journalism, corrente che scommette su Internet per un «giornalismo dei cittadini», più ricco, innervato e vicino alla realtà, grazie a blog e social network, di giornali e tv. Nel suo blog Press Think (sottotitolo alla Marx, Fantasma democratico nella macchina dei media) Rosen elogia Npr, ricordando il caso di un articolo del «New York Times» sul salvataggio di Wall Street dopo la crisi, in cui l’ex presidente della finanziaria Aig, Maurice Greenberg, attaccava la Casa Bianca, «intervento fallito per 170 miliardi di dollari», per essere poi bilanciato da dichiarazioni opposte. Rosen critica la tecnica delle «due campane», perché – a suo avviso – se non si ricordano per intero le responsabilità di Wall Street nella crisi non si può fingere poi che ognuno dica la sua, come a un club. Meglio sbilanciarsi, dare contro Greenberg, prendere parte senza falsi equilibri: è la tecnica in uso su Internet, con i blog a dare la propria versione singola e il lettore a orientarsi come può.

Se la parzialità, rivendicata nei blog come già nella stampa schierata, viene ora adottata anche dai media equanimi, come cambia l’informazione? Il dibattito di Npr raggiunge il «New York Times» e non senza frizioni. Il 12 gennaio, Arthur Brisbane, «public editor» vale a dire il giornalista che difende diritti e punti di vista dei lettori anche contro direttore ed editore, pubblica un commento controverso: «Il “N. Y. Times” deve essere il vigilante della verità?» http://publiceditor.blogs.nytimes.com/2012. I cronisti devono riportare le dichiarazioni di politici, finanzieri, militari obiettivamente, o commentarle già negli articoli, non aspettando gli editoriali? Il Nobel per l’economia Krugman, columnist del giornale, non ha dubbi e il 23 dicembre invita i redattori a ribellarsi contro «la politica della post-verità» http://www.nytimes.com/2011/12/23/opinion/krugman-the-post-truth-campaign.html?_r=1. Giusto i temi che «La Stampa» ha affrontato con la filosofa D’Agostini nell’eccellente saggio su «Lady Gaga e Vattimo» http://www3.lastampa.it/cultura/sezioni/articolo/lstp/444035/

Davvero National Public Radio, che forma l’agenda politica di Washington, e il «New York Times», con milioni di lettori online, possono adottare l’unilateralità del blog di un cittadino giornalista nel suo tinello? La discussione aperta da Brisbane preoccupa la direttrice Jill Abramson che scrive direttamente al «public editor», in uno scambio di raro candore: “E’ ovvio, – sintetizza Abramson – che un cronista debba sempre controllare i «fatti» e le dichiarazioni delle fonti, ma senza relativizzare tutto” In difesa del giornalismo classico Abramson si appassiona: «Naturalmente certi fatti saranno, con legittimità, disputati, e molte affermazioni, soprattutto nell’arena politica, aperte al dibattito. Dobbiamo però essere attenti che anche il controllo dei fatti sia equanime e imparziale, senza scivolare mai nel tendenzioso. Tante voci che strillano chiedendo “fatti” vogliono in realtà solo ascoltare la propria versione dei fatti».

Chi ha ragione? Il lettore non si aspetti una risposta univoca, e non certo per adesione alla moda del momento! Realtà importanti come citizen journalism e web hanno cambiato per sempre l’informazione. I cronisti verranno sempre più incalzati da versioni e analisi online 24 ore su 24: è un bene per informazione e democrazia. Ma la Abramson ha ragione quando, schiettamente, osserva che spesso sul web la rivendicazione dei «fatti» maschera solo l’opinione di chi scrive. E, come obiettava il vecchio senatore Moynihan, Primo Emendamento alla Costituzione Usa e nostro articolo 21 garantiscono libertà di pensiero, non, purtroppo, di fatti.

Il futuro chiama tutti a maturare. I bloggers non potranno più accontentarsi della propria individuale «verità» e dovranno confrontarsi con chi la pensa diversamente. I giornalisti devono accettare che i vecchi strumenti non bastano più e difendere a testa alta nei new media equanimità, completezza, professione. Perché la questione è ben più antica del duello New Media contro Old Media. Tacito nelle «Storie» (100 dopo Cristo) ammonisce i cronisti contro l’adulazione per il potere, ma anche contro il rancore avverso al potere, più pericoloso del servilismo perché ha – agli occhi del lettore – «falsa sembianza di libertà». E Fred Friendly, padre della tv americana che sfida la caccia alle streghe di McCarthy e finisce nel film «Good night and good luck» interpretato da George Clooney, ammoniva noi studentelli di giornalismo alla Columbia University: «Gentlemen, il nostro lavoro non è convincere la gente a pensarla come noi. Al contrario, è aprire le menti presentando tutti i fatti: così da rendere per la gente la fatica del prendere una decisione tanto intensa che l’unica via di fuga sarà mettersi a pensare».

Gianni Riotta , 1 marzo 2012

Fonte: La Stampa

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