I giornali cartacei moriranno pure nel 2043 – questa la funereo previsione del New York Times – ma la vita delle testate giornalistiche online è comunque dura. A metterlo nero su bianco è ora una ricerca dell’Università di Oxford. La ricerca ha analizzato i casi europei di startup giornalistiche che vivono solo sul web e che non godono dei vantaggi dei siti web delle testate cartacee. Anche in Italia sono sempre più numerose queste realtà.
La ricerca si è concentrata, oltre che su numerose realtà europee, sulle tre testate italiane più dinamiche: Linkiesta; il Post e Lettera43. Ebbene, la valutazione dei ricercatori è che il loro successo è rappresentato dalla stessa sopravvivenza: il loro futuro è incerto.
Linkiesta, si occupa appunto di inchieste, ma conta ancora pochi lettori. Più letti invece, sia Il Post, che ha come modello il blog, conta pochi giornalisti ma una copertura ampia degli argomenti trattati (anche grazie a numerose firme); mentre Lettera43 cerca di offrire una selezione semi-generalistica di notizie e sta lavorando sull’offerta di nuovi canali.
Ma per tutti non è detto che il gioco valga la candela. Certo, la pubblicità online è in aumento, così come il numero di lettori di quotidiani su Internet (in tutto sono 6 milioni secondo gli ultimi dati Fieg). Ma i costi dell’informazione rimangono onerosi: difficilmente i conti stanno in piedi senza una robusta distribuzione in edicola. Appare inoltre inimitabile il modello di successo di Dagospia che ha costi ristretti e punta sui commenti del suo dominus Roberto D’Agostino. Come modelli vengono citati anche i casi made in Usa del’Huffington Post e di Politico.com ambedue freschi vincitori di premi Pulitzer.
Il problema, però, come al solito è anche linguistico: l’utenza a cui si possono rivolgere media italiani non è confrontabile con quella in lingua inglese. L’informazione online, come tutto sul web, è insomma per ora soprattutto esperimento. E chissà se nel 2044 non esisterà ancora qualcosa di molto simile agli attuali giornali di carta.
Federico Mello, 21 aprile 2012
Fonte: il Fatto Quotidiano