di Carmelo Abisso

Il 30 marzo, presso la sala consiliare della provincia nel palazzo Granducale di Livorno, si è svolto il convegno “Afghanistan, quale futuro?” al quale hanno preso parte diplomatici ed ufficiali per raccontare la colossale sfida che sta affrontando l’Afghanistan dopo decenni di guerra. Il convegno è stato introdotto dai saluti del presidente della provincia, Giorgio Kutufà e del vice presidente del consiglio regionale della Toscana, Giuliano Fedeli e moderato dal generale di corpo d’armata in ausiliaria Filiberto Cecchi, già capo di stato maggiore dell’Esercito.

In platea, tra gli altri, il senatore Mauro Del Vecchio, già comandante della operazione Isaf in Afghanistan nel 2005, il comandante dell’Accademia navale, ammiraglio di divisione Giuseppe Cavo Dragone, il comandante della brigata paracadutisti “Folgore”, generale di brigata Massimo Mingiardi, numerosi militari in servizio e in congedo ed alcuni studenti di Scienze politiche della Scuola superiore Sant’Anna di Pisa.

Il generale Cecchi, prima di dare la parola ai convenuti, ha ricordato attraverso la storia la complessità della situazione in atto nel paese, mentre scorrevano le immagini del viaggio in Afghanistan della fotografa Patrizia Bonciani. Allora quale futuro? Tracciare un quadro e azzardare una ipotesi di sviluppo della situazione, questo il compito dei relatori.

L’ambasciatore Ettore Sequi, capo delegazione Ue in Albania, già ambasciatore d’Italia a Kabul, nel suo intervento “Afghanistan terra di conflitti e di speranze”, ha ricordato che proprio col generale Cecchi arrivò il 19 dicembre 2004 nella capitale afgana. Occorre parlare di strategia di transizione e non di exit strategy. Il paese è un organismo affetto da due virus: il primo, le condizioni ambientali e sociali, il secondo, la fatica dei donatori, l’insicurezza, la corruzione. La soluzione del problema non può essere solo militare, bisogna vincere oltre “i cuori e le menti” anche lo stomaco, quello che sta facendo l’Italia. Nel nostro settore, l’ovest, siamo stati i primi a lanciare il training, l’addestramento delle Forze di sicurezza. Ma cosa bisogna fare con i talebani? Chi sono? Soggetti criminali o tribù vessate dal potere centrale che passano al nemico? Applicare il concetto di “inclusione nel sistema dello stato”, perché la maggioranza dei talebani sono pashtun, ma non tutti i pashtun sono talebani. Il ruolo delle donne, grande ammirazione per il coraggio delle afgane. Una parlamentare discutendo sull’età alla quale devono sposarsi le donne, da 14 la portò a 17 anni. Ricordando il maresciallo Paladini, caduto in un attentato vicino Kabul il 24 novembre 2007, Sequi ha concluso che “c’è gente che sa donare con altruismo anche la vita, questo è il migliore omaggio che possiamo fare ai nostri militari”.

“L’evoluzione dell’intervento militare alleato” è stato il tema trattato dal generale di corpo d’armata Marco Bertolini, comandante del Coi(Comando operativo di vertice interforze), già capo di stato maggiore del comando Isaf a Kabul, che ha evidenziato il ruolo della Nato, come braccio armato dell’Onu, nelle varie operazioni internazionali. In Afghanistan l’elemento essenziale è la popolazione. Occorre separare gli intransigenti e unire tutti gli altri per ottenere il consenso attraverso il “comprensive approach”. Ma se dobbiamo aiutare la popolazione perché mandiamo i soldati ? Perché senza sicurezza non c’è sviluppo, occorre supportare il governo della repubblica. In questo, l’Italia con le stellette fa la sua parte, per la motivazione, il coraggio, l’orgoglio dei soldati. Dobbiamo far tesoro della lezione che ci ha dato Matteo Miotto, l’alpino caduto in combattimento nella Fob Snow in Gulistan il 31 dicembre 2010.

Il generale di brigata Carmine Masiello, capo ufficio generale del capo di stato maggiore dell’Esercito, con “La Folgore al comando della regione ovest”, ha raccontato la sua esperienza di comandante della brigata paracadutisti in Afghanistan nella primavera-estate del 2011. Quello che conta è la fisicità dell’uomo sul terreno. La difficoltà più grossa del comandante, capire se ha fatto tutto per preparare al meglio i propri uomini. Il Regional command west di Isaf, 160.000 kmq da controllare con 8000 soldati, impresa complessa concentrata su assi principali e centri urbani. Il problema era realizzare la massima sinergia tra i tre aspetti chiave: sicurezza, sviluppo e governance. A Bala Murghab è stata  allargata la bolla di sicurezza di alcune decine di chilometri. Partendo dalle operazioni militari, la sicurezza ha portato lo sviluppo, consentendo ad Isaf di realizzare la linea elettrica dal Turkmenistan a Qal-i-Naw. La popolazione è stata sempre il centro di gravità, occorre capirli, rispettarli, bisogna essere cordiali ma decisi. Un detto del popolo afghano dice “ il primo giorno si è amici, il secondo si è fratelli”. Con questi fratelli dobbiamo andare avanti.

Ha concluso gli interventi il sottosegretario agli Esteri Staffan De Mistura, ambasciatore e inviato dell’Onu da 40 anni, che in tutti i luoghi dove è stato nel mondo ha visto un “crescendo di personalità militari italiane”. E’ un sentimento di grande orgoglio. Il massacro dei nostri aviatori a Kindu nel 1961 ci ha insegnato che dobbiamo andare armati. Nelle operazioni il militare ideale deve essere un soldato bene addestrato, ma subito dopo un negoziatore, che comprende la sensibilità e la cultura degli altri. Quando abbiamo questo cocktail, noi abbiamo il meglio. Perché siamo entrati in Afghanistan? Perché dopo l’attacco alle torri gemelle eravamo tutti newyorkesi. Sono passati 11 anni, Bin Laden è stato ucciso dalle Forze speciali. Quanto tempo dobbiamo rimanere, a quale prezzo e per ottenere cosa? A Lisbona fu decisa la transition che non è exit strategy. E’ il passaggio delle consegne dalla presenza internazionale a quella afgana. E’un messaggio alla nostra opinione pubblica, c’è una strategia. E’ un messaggio anche agli afgani, che hanno una “doppia sindrome”: quella dell’abbandono e la fierezza di essere sovrani, dai tempi di Alessandro. Non vi abbandoneremo, ma nel 2014 sarà diverso. Lisbona ci spiega che il 2014 è il passaggio delle consegne reali, la transizione va avanti. Cosa avverrà? Occorre la consapevolezza di cambiare le aspettative. L’Afghanistan non sarà e non deve essere la Svizzera. Dopo il 2014 sarà un paese imperfetto, ma dove ci saranno un Esercito e una Polizia addestrati. Tutti teniamo all’addestramento dell’Esercito, che non sarà numeroso come pensiamo. Dobbiamo assicurare che i soldati ricevano lo stipendio, ricordandoci ciò che accade all’Esercito afgano dopo la partenza dei russi nel 1989. Quale Afghanistan avremo? Un Afghanistan imperfetto, ma diritti umani e diritti delle donne vanno salvaguardati. 60 donne sono state elette in Parlamento, il 51% della popolazione è donna. Davanti a noi c’è una transizione faticosa, “hot negotiation”, con momenti tristi, ma andrà avanti. E diremo agli afgani “guardateci negli occhi, ma i nostri soldi li avrete solo se i diritti umani e i diritti delle donne saranno rispettati”.

Al termine dell’incontro, il presidente della Associazione nazionale paracadutisti d’Italia – sezione di Livorno, Giovanni Viggiani, che ha organizzato il convegno con la preziosa collaborazione della project manager Giuseppina Colia, ha consegnato il crest del sodalizio ai relatori.

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